Coronavirus. Il Serafico di Assisi diventa una grande casa per tutti. E la presidente Di Maolo assicura: “Insieme ce la faremo”

"Andrà tutto bene. Insieme ce la faremo". Non ha dubbi la presidente dell'Istituto Serafico di Assisi che attualmente accoglie in modo stabile gli 80 ragazzi con disabilità gravi ricoverati in regime residenziale che, a causa delle restrizioni imposte dalle misure di contrasto al Covid-19, non possono rientrare a casa, come di consueto, nei fine settimana. Con una nuova organizzazione e rigorose misure di sicurezza si va avanti mentre "la serenità dei ragazzi è più contagiosa del coronavirus"

“E’ un momento difficilissimo! Mentre l’Italia si ferma noi non possiamo fermarci. Abbiamo qui con noi tutti i ragazzi ricoverati in regime residenziale: non possono rientrare a casa e i genitori non possono venire a trovarli”. Francesca Di Maolo è avvocato ed è presidente dell’ Istituto Serafico di Assisi che, fondato nel 1871, svolge attività riabilitativa, psicoeducativa e di assistenza socio-sanitaria in modalità residenziale e semiresidenziale per bambini e giovani adulti con disabilità fisiche, psichiche e sensoriali, costruendo inoltre una rete di servizi per le esigenze dei ragazzi e per il nucleo familiare. Francesca è anche un’amica e le chiedo come sta vivendo con la sua grande “famiglia” questo momento di gravi restrizioni.

“Il centro semiresidenziale – racconta – è chiuso. Mi dispiace molto sapere tutti i bambini disabili a casa e senza la continuità delle prestazioni di cui avevano bisogno. Spero che su tutto il territorio nazionale possano essere attivate attività a domicilio o servizi per le situazioni urgenti. Noi abbiamo mantenuto i contatti telefonici con le famiglie dei nostri ragazzi per sostenere e incoraggiare i genitori, ma anche per rispondere a quesiti o per eventuali urgenze”.Al Serafico sono attualmente ricoverati invece in regime residenziale 80 ragazzi che ora vivono in 6 residenze. “Sentiamo di avere una grande responsabilità nei confronti dei loro genitori – dice Francesca – ed è altrettanto grande la responsabilità che abbiamo nei confronti dei ragazzi che non hanno una famiglia o una casa in cui rientrare… questa è la sola casa in cui possono rimanere.

Così il Serafico è diventato una grande casa per tutti.

“I nostri ragazzi – prosegue, mentre il tono di voce tradisce l’affetto che ha per loro – sono disabili gravi e gravissimi, ricoverati proprio perché non gestibili dalle famiglie. Ma molti di loro il fine settimana rientravano, ora, invece, stiamo tutti a casa, a casa qui al Serafico”. Ovviamente è cambiata l’organizzazione. “Abbiamo sospeso tutte le attività trasversali, isolando, sul piano lavorativo, ogni residenza che ha il suo gruppo di operatori, fisioterapisti, educatori di laboratorio e personale di pulizia compresi. Ora ogni gruppo non si incontra con gli altri: ha il suo spogliatoio, un laboratorio dedicato e spazi per attività ricreative. Abbiamo inoltre intensificato le sanificazioni all’interno e abbiamo iniziato a fare anche quelle esterne: parco, chiostro, strade interne”.

Le chiedo se hanno assunto misure di protezione individuale. “Tutti gli operatori di diretta assistenza – risponde – lavorano con occhiali e mascherine Ffp2. Non sarebbero dispositivi necessari per il nostro tipo di attività, in quanto previsti e raccomandati quando si lavora a contatto con i contagiati, ma, tu capisci, ai nostri ragazzi il virus lo potremmo portare solo noi.

Il direttore sanitario, il professor Sandro Elisei, quando ancora non era scoppiata l’emergenza italiana del coronavirus aveva disposto l’acquisto di mascherine filtranti. Ha deciso di farne uso da diversi giorni, al posto delle chirurgiche, per evitare il contagio” perché “i nostri bambini e ragazzi non sono in grado di mantenere la distanza interpersonale, né di tenere correttamente una mascherina chirurgica”. E per fare accettare ai ragazzi le nuove “divise” degli operatori

tutto diventa un gioco,

così i ragazzi “dicono che al Serafico siamo tutti mascherati e qualcuno vuole vestirsi da pirata”. Francesca si interrompe e dice:

“Mentre parliamo sento dall’ufficio le voci dei miei piccoli grandi tesori.

C’è un gruppo di bambini che stanno con i loro operatori nel chiostro, impegnati in attività di psicomotricità realizzate come un grande gioco: canestri e cerchi colorati a terra. Altri passeggiano nel parco con i fisioterapisti, altri ancora sono nell’orto e un altro gruppo è nel nostro boschetto a fare vasi in argilla. Il sole splende anche oggi e cerchiamo di stare all’aperto.

Sembra che niente sia cambiato, ma so quante paure e preoccupazioni sono nel cuore di ogni operatore.

Ogni mattina lasciano le famiglie a casa, vengono qui per prendersi cura dei ragazzi, lavorano con dispositivi che non è facile indossare per tutto il turno, ma ogni giorno che passa tiriamo un respiro di sollievo: anche oggi tutto bene! Ce la mettiamo tutta. Ogni residenza è dotata di un tablet e i genitori videochiamano i loro figli. Cerchiamo di fare foto e video che inviamo ai genitori via whatsapp. Anch’io ogni tanto vado ad una finestra a scattare una foto. Non entro nelle residenze, proprio per rispettarne l’isolamento. Vedo operatori e ragazzi a debita distanza e solo negli spazi esterni. Ma alcune volte vado sotto le loro finestre, gli operatori si affacciano e io posso dire loro: ‘Grazie! Andrà tutto bene!’”.
Per Francesca “la serenità dei ragazzi è più contagiosa del coronavirus: “anche oggi stiamo tutti bene e loro ci fanno capire che, insieme, ce la faremo”.

Altri articoli in Territori

Territori