Il rischio paralisi

Si sarebbe saputo solo nella serata di questo mercoledì il risultato della votazione al Senato in merito all’autorizzazione a procedere nei riguardi di Matteo Salvini, per cui al momento in cui scriviamo non ci è noto. Ma qualche riflessione si può fare sul modo con cui è stata gestita la questione, ricco di contraddizioni e di atteggiamenti pretestuosi, di millanteria o, alternativamente, di garantismo e giustizialismo da una parte e dall’altra, enfatizzati anche durante la discussione in Senato. In poche parole, una vicenda poco nobile per i nostri rappresentanti al governo e in Parlamento, a cominciare dall’irrigidimento contro i profughi teorizzato come “difesa dei confini”.

(Foto: Presidenza del Consiglio dei ministri)

Si sarebbe saputo solo nella serata di questo mercoledì il risultato della votazione al Senato in merito all’autorizzazione a procedere nei riguardi di Matteo Salvini, per cui al momento in cui scriviamo non ci è noto. Ma qualche riflessione si può fare sul modo con cui è stata gestita la questione, ricco di contraddizioni e di atteggiamenti pretestuosi, di millanteria o, alternativamente, di garantismo e giustizialismo da una parte e dall’altra, enfatizzati anche durante la discussione in Senato. In poche parole, una vicenda poco nobile per i nostri rappresentanti al governo e in Parlamento, a cominciare dall’irrigidimento contro i profughi teorizzato come “difesa dei confini”. Ma ciò che agita di più il governo e il Paese, i questi giorni, è la questione della “prescrizione”, un altro specifico tema legato all’amministrazione della giustizia in Italia, sulla quale si rincorrono tentativi di riforma senza apprezzabile esito. L’ingarbugliato argomento, che ha visto e vede su fronti teorici e pratici opposti fior fiore di giuristi e costituzionalisti, e parallelamente i partiti, sia di maggioranza che di opposizione, è certo difficile da dipanare. Ne sa bene qualcosa il presidente del Consiglio che, per quanto esperto in materia, fatica non poco a trovare la quadra che soddisfi le differenti anime della sua coalizione e soprattutto una organica e accettabile soluzione, davvero utile per la nazione e per i suoi cittadini coinvolti in interminabili processi. La Giustizia italiana, del resto, ha sempre più bisogno di una riforma radicale, per cui non basta certo qualche pannicello caldo, che anzi rischia di acuirne la malattia. Su questo, come tutti possiamo constatare, il governo ha rischiato e rischia la crisi a causa del balletto inscenato a più riprese dai protagonisti del patto a quattro che si rivela sempre più fragile. Comprensibilmente indispettito appare Giuseppe Conte, che, proprio mentre si affanna a redigere un programma di rilancio dell’attività del suo secondo incarico puntando addirittura direttamente al 2023, si trova a incappare continuamente nelle tensioni interne della maggioranza che soffre di protagonismi esasperati. Si domanderà senz’altro se sia meglio continuare a vivacchiare o se – come ha lasciato intuire in più di qualche circostanza – coerenza vorrebbe che si gettasse la spugna. La domanda più importante, più che sulla vita del governo, verte sulla vita del Paese che non può attendere all’infinito decisioni importanti a livello economico e sociale; mentre d’altra parte torna insistente il dubbio se valga la pena affrontare una cosiddetta “crisi al buio”, dato che, tra referendum indetto, nuovi collegi elettorali da disegnare e nuova ipotesi di legge elettorale, lo stesso ricorso alle urne appare un’avventura. Un’avventura poco rassicurante certo per gli attuali parlamentari che, di fatto, in un modo o nell’altro, sembrano voler “tirare a campare”. Così per i partiti, consolidati o in formazione, forti o indeboliti. Ma sul bene dei partiti dovrebbe prevalere quello del Paese.

 

(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)

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