Benedetta e Leonardo sono i genitori di Marta. Una bambina dolce e molto tranquilla. Fino a quella sera del 20 giugno del 2005, quando a casa perde conoscenza nel suo lettino. Dopo quattro giorni di coma all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze, Marta muore. Aveva solo nove mesi.
In quei momenti drammatici, i genitori decidono di costituire una fondazione per aiutare tutte quelle famiglie che stanno vivendo la loro stessa esperienza. Un modo per vincere il dolore e ricordare la figlia.
Nasce così la Fondazione “Marta Cappelli” che da 15 anni, ogni giorno, opera all’interno del reparto di rianimazione del Meyer con i propri volontari che, in contatto con medici e operatori sanitari, offrono un supporto psicologico alle famiglie. Oggi i genitori di Marta hanno però un altro grande progetto: contribuire alla realizzazione di un hospice pediatrico che ospiterà fino a 6 bambini e ragazzi, che necessitano di cure palliative, con le loro famiglie. Una vera e propria casa, immersa nelle colline toscane, a due passi dal Meyer, con ampio giardino, una sala della musica, uno spazio giochi, una biblioteca, una cucina comune, dove i piccoli pazienti non avranno la percezione di trovarsi in un ospedale.
L’obiettivo che rende unico il progetto “Casa Marta” in Italia ed Europa, è infatti quello di dare risposte a ciò che le famiglie chiedono, ovvero di restare unite, di accompagnare il figlio nell’ultimo tratto di vita in un contesto riservato. Un desiderio più volte emerso nella lunga esperienza del Meyer che già offre una stanza nel reparto di leniterapia, in grado di accogliere un bambino con mamma e papà. Un locale che però si trova dentro l’ospedale con tutte le sue regole, orari, la presenza di infermieri e medici.
“Casa Marta”, invece, avrà in sé tutte le caratteristiche tecnologiche di un centro all’avanguardia, ma presenterà anche un’architettura tale da nascondere al massimo i dispositivi medici, offrendo il beneficio di essere come a casa, in un’atmosfera familiare, dove i genitori e i loro bambini potranno sentirsi accolti, accuditi da volontari e personale specializzato, perché, racconta al Sir il direttore del Meyer, Alberto Zanobini,
“ciò che rimane più impresso nella memoria delle famiglie sono gli ultimi istanti dei figli”.
Altra caratteristica sarà la disposizione interna delle sei unità abitative, dotate di mini cucine e pensate in modo tale che il bambino possa vedere sempre i genitori dal suo letto. Ci sarà poi uno spazio interreligioso per rispondere alle esigenze di fede di tutti, oltre a dei locali per attività di ricerca e pratica clinica per gli studenti universitari delle varie professioni sanitarie.
L’hospice, accoglierà anche ricoveri di sollievo e casi complessi, dove l’ospedale non è più necessario perché la fase acuta è finita ma il rientro a casa si rivela troppo complicato per la gestione delle cure mediche. Un passaggio, che consentirà di formare i genitori per renderli sempre più in grado di affrontare situazioni multiproblematiche, nelle proprie abitazioni.
Il valore aggiunto di “Casa Marta”, che aprirà nel 2022, sarà inoltre quello di essere frutto della collaborazione tra vari soggetti. La struttura sarà infatti gestita dall’ospedale Meyer, dalla Fondazione solidarietà Caritas onlus, che ha messo a disposizione l’immobile, e dalla Fondazione Cappelli.
L’opera, che è stata fortemente sostenuta dalla diocesi, rappresenta dunque la volontà di riconoscere e tutelare il valore della dignità della vita in ogni condizione essa si possa trovare, cercando di dare una spinta culturale che metta l’umano al centro dei bisogni, dove il limite delle cure mediche non sia occasione di solitudine ma di incontro e comunione, come spiega la psicologa Marianna Scollo Abeti, Aou Meyer, che sottolinea “come a differenza di un adulto, per i bambini sia ancora vita quella che resta”. Una proposta culturale in un Paese come l’Italia, dove la conoscenza delle cure palliative e della terapia del dolore è ancora frammentaria, nonostante sia stata tra i primi in Europa a dotarsi di una legge, la n.38 del 15 marzo del 2010 ad hoc. Con centri di eccellenza nel panorama mondiale, e aree dove invece il termine “palliativo” è ancora inteso come qualcosa di inutile o poco efficace.