“Dobbiamo tutti fermarci, per evitare di ‘passare oltre’. Non serve reagire di pancia, come si è fatto su molti social in questi giorni, dove si è scritto di tutto, anche ciò che contribuisce ad aumentare la violenza invece di superarla. Non possiamo derubricare l’episodio catalogandolo come uno dei tanti fatti di cronaca, magari pensando che la vittima, stavolta, se l’è cercata. Non basterà isolare i colpevoli considerandoli schegge impazzite in un contesto fondamentalmente sano, soggetti pericolosi da tenere in galera, per stare tranquilli tutti. No, le cose non stanno così. Abbiamo bisogno di aprire gli occhi”. Lo ha scritto il vescovo di San Benedetto-Ripatransone-Montalto, mons. Gianpiero Palmieri, in una lettera aperta a seguito della violenta rissa nella quale nei giorni scorsi ha perso la vita il 24enne Amir Benkharbouch. “Ho sentito il bisogno di fare silenzio e di mettermi a pregare. Per Amir, per la sua famiglia, per tutti i ragazzi coinvolti in questa storia… e per ciascuno di noi”, rivela il presule.
“I ragazzi stanno male”, osserva: “Lo gridano in mille modi: dalle forme di autolesionismo, alle crisi di panico, alla rabbia e violenza diffusa, all’alcolismo e all’uso di stupefacenti, all’incapacità di tenersi un lavoro, al rifiuto di pensare al domani o di sognare una vita di coppia e di famiglia… La quasi totalità di loro dice di provare tanta solitudine, rispetto ad un mondo di adulti troppo preoccupati di sé stessi e incapaci di avere ‘parole’”. “Possibile che si sottovaluti così tanto il male di vivere dei ragazzi?”, domanda mons. Palmieri: “Ci accontentiamo di quelli che riusciamo a coinvolgere nelle nostre associazioni e nelle nostre iniziative, nei cammini di gruppo compresi quelli parrocchiali, nelle competizioni sportive o nelle manifestazioni di parata… e tutti gli altri?”. “Sono tanti, troppi, i ragazzi che camuffano la loro fatica di vivere dietro un’apparenza di superficialità o di noncuranza. È lo stesso atteggiamento di molti adulti…”, prosegue, condividendo alcuni interrogativi: “E se fosse arrivato il momento di svegliarci? Di realizzare finalmente quel patto tra istituzioni e cittadini che dia il posto centrale che merita al compito educativo? Se decidessimo di mettere da parte ciò che ci divide per accompagnare i ragazzi a scoprire il senso bello del vivere, fatto di amicizia, rispetto, solidarietà verso i fragili?. È tanto impossibile provare a realizzare questo sogno? E se ci mettessimo tutti intorno ad un tavolo per cominciare a riflettere su cosa fare insieme, mentre ognuno di noi nel frattempo fa qualcosa, ciò che è nelle sue possibilità?”. “Credo che sia evidente a tutti che non si tratta solo di aumentare le forze dell’ordine per evitare che la notte diventi assassina, ma di coinvolgerci tutti nel creare quel villaggio educativo che permetta ai nostri ragazzi di crescere e di liberare le loro aspirazioni più belle”, conclude il vescovo, convinto che non “dobbiamo rassegnarci a perdere una generazione intera”.