“Il carcere è divisione: o fuori o dentro, esseri umani liberi o privati della libertà. Un mondo separato dalla comunità esterna, al punto che la sua vita nascosta è solitamente ignorata da chi vi passa accanto e magari si limita ad una distratta occhiata all’edificio”. Ma “chiamata da sempre ad essere via di comunione, la Chiesa può portare un grande contributo nell’essere ‘ponte’ tra il dentro e il fuori”. Lo ha scritto l’arcivescovo di Genova, mons. Marco Tasca, nella lettera “Cammino di libertà” diffusa nel tempo quaresimale.
In sintonia con quanto espresso da Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo “Spes non confundit” al paragrafo 10 – “Saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle detenuti” – il presule ricorda che “da sempre la Chiesa si è presa cura dei carcerati e anche oggi, pur in una mutata composizione della popolazione detenuta, dove alla pluralità dei paesi di provenienza corrisponde una varietà di confessioni religiose, continua la sua presenza significativa. Attraverso l’opera dei cappellani e dei diaconi, di religiosi e religiose, di laici impegnati come volontari in associazioni più o meno specificamente dedicate al carcere, la Chiesa viene incontro ad ogni detenuto, senza fini di proselitismo ma offrendo ascolto, assistenza, vicinanza discreta e non giudicante”. “Oltre a questa testimonianza di carità nella gratuità, ovviamente vi è l’assistenza spirituale per quanti professano la fede cattolica, aiutando i carcerati battezzati a riscoprire una vita cristiana”, prosegue, sottolineando che “la testimonianza che una vita migliore è comunque possibile e vale la pena di riscoprirla e di riabbracciarla”. Nel “ringraziare quanti ogni giorno svolgono questo ministero di prossimità e di annuncio, di silenzioso e spesso nascosto servizio”, mons. Tasca ammonisce: “Solo percependo il carcere come parte di sé stessa, la comunità ecclesiale potrà offrire in prima persona e stimolare la società stessa perché realizzi condizioni che favoriscano il ritorno del detenuto nella compagine sociale”. L’arcivescovo denuncia poi che l’attuazione delle “misure alternative alla detenzione” è “resa difficoltosa perché spesso mancano le condizioni: possibilità di alloggio, opportunità lavorative; a volte anche offerte per un servizio di volontariato. Le risorse sono sempre pochissime, ma forse potrebbero aumentare attraverso una sensibilizzazione e una disponibilità capillare da parte delle parrocchie e anche delle associazioni”.
Per questo ha dato incarico di “realizzare, anche come frutto concreto di questo Anno Santo, un Centro di ascolto diocesano per le necessità dei detenuti e delle loro famiglie, su modello di quanto già avviene con il Fau (Fondazione anti usura)”. Nell’Anno Santo, la Casa circondariale di Marassi e quella di Pontedecimo a Genova sono “luoghi giubilari”: nella Messa in Coena Domini del Giovedì Santo, annuncia l’arcivescovo, “consegnerò a una rappresentanza delle due case circondariali un cero pasquale, segno di Cristo Risorto e della presenza del suo corpo che è la Chiesa e con questo gesto mi impegnerò a vivere all’interno di questi, durante il tempo pasquale e alla luce di quello stesso cero, un significativo momento giubilare”.