“Avere una malattia rara, in particolare non diagnosticata, non deve più rappresentare un calvario per un paziente e la sua famiglia”. Ne è convinto Bruno Dallapiccola, responsabile della funzione “Ricerca sulle malattie rare” dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e coordinatore Orphanet-Italia, che in un’intervista al Sir presenta la neonata Rete italiana delle malattie rare non diagnosticate cui hanno già aderito 24 ospedali, tra cui 11 Irccs, attivi in 14 regioni.
In Italia il 6% dei 2 milioni di persone affette da una malattia rara è privo di diagnosi: oltre 100mila pazienti la cui patologia non è ancora stata inquadrata dal punto di vista nosologico, perché ad oggi ignota. Tra difficoltà del percorso diagnostico, necessità clinico-assistenziali, bisogno di ascolto e supporto psicologico-sociale, a questi malati e alle loro famiglie, spesso “invisibili” anche dal punto di vista dei diritti, si rivolge la nascente “Rete italiana delle malattie rare non diagnosticate”, network di ambulatori dedicati, che, in vista della Giornata mondiale delle malattie rare (28 febbraio), sarà domani al centro del convegno online “I malati rari senza diagnosi, una rete di ascolto e di presa in carico”. Promotori dell’evento l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù Irccs di Roma, Orphanet-Italia, Fondazione Hopen Onlus, Comitato Imi – I malati invisibili Onlus, Omar – Osservatorio malattie rare.
Ogni ritardo diagnostico, spiega Dallapiccola, comporta gravi conseguenze: “ritardi nella presa in carico e nelle cure con effetti potenzialmente irreversibili; peggioramento del quadro clinico – molti pazienti presentano un’encefalopatia o un disturbo gastrico e del sangue – e stress psicologico del malato e dei familiari”. Di qui la nascente “Rete italiana delle malattie rare non diagnosticate”, promossa e coordinata dal Bambino Gesù, cui hanno già aderito 24 ospedali, tra i quali 11 Irccs, attivi in 14 regioni: “Un vero e proprio network nazionale di ambulatori dedicati all’ascolto e alla presa in carico dei malati rari senza diagnosi”. Lavorare in rete, spiega l’esperto, “consente di condividere metodologie e armonizzare interventi e protocolli; creare percorsi sociali e sanitari, offrendo valutazioni cliniche multidisciplinari e indagini avanzate strumentali e di laboratorio; proporre diagnosi cliniche funzionali, definendo le aree di maggiore fragilità e di massima attenzione, per offrire interventi clinici e terapeutici grado di garantire la migliore qualità di vita”. “Anche dove non si può guarire, è sempre possibile curare”, assicura; inoltre “desideriamo far uscire dal ‘limbo’ questi malati rari senza diagnosi, spesso ‘invisibili’, impegnandoci per una loro migliore inclusione nella vita sociale e lavorativa e per il godimento dei benefici previsti dalle leggi in materia”.