Tra le tante voci che si sono levate contro la normativa sul suicidio assistito approvata dal Consiglio regionale toscano, anche quella di Uneba Pisa, la federazione che riunisce le Rsa, le case di riposo, i centri diurni gestiti da fondazioni e associazioni cattoliche o da congregazioni religiose.
Contrarietà – si legge in una nota – che non nasce soltanto da “un rilievo meramente formale legato alla competenza del legislatore nazionale piuttosto che regionale sulla materia”. E neppure “legato al possibile ‘stravolgimento della mission del Servizio sanitario’, a partire dal ‘giuramento di Ippocrate’ che afferma: ‘Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale’”.
Il tema in gioco non è nemmeno “ridurre la sofferenza ed evitare l’accanimento terapeutico: tutti siamo contrari all’accanimento terapeutico e alla inutile sofferenza per la quale esiste già il percorso di cure palliative”, scrive Uneba.
La riflessione dovrebbe invece essere spostata più in profondità: “Dovremmo cioè tutti porci l’interrogativo: ‘Cos’è l’uomo’, ‘Quanto vale la sua vita?’”. Ha cioè “un valore ‘in funzione’ di quanto produce, di quanto è bella, di quanto è forte, di quanto vale di ‘esser vissuta’, di quanto non sia di disturbo o di ‘peso’ a nessuno?”. O “ha, piuttosto, un valore ontologico, in sé assoluto, che nessuno si può permettere di interrompere e fermare?”. Una lettura secondo cui “la vita del ricco e forte ha un valore identico a quella del povero e debole, del giovane come dell’anziano, dell’ultimo dei bambini poveri dell’Africa come quella del Re d’Inghilterra! Anzi, in questa prospettiva la vita della persona più fragile, anziana e debole, proprio in quanto valore assoluto, deve essere adeguatamente accolta, sostenuta, supportata, aiutata perché ha un valore inestimabile come qualsiasi altra ‘vita umana’”.
Uneba, si legge nella nota, “sposa questa seconda visione”: “Noi siamo per la vita, non per la morte”.