Intelligenza artificiale: Santa Sede, “non possiamo permettere che gli algoritmi limitino o condizionino il rispetto della dignità umana”

I dati dell’IA “non si limitano a trasmettere informazioni, ma veicolano anche una conoscenza personale e relazionale, la quale, in un contesto sempre più digitalizzato, può diventare un potere sull’individuo”. A evidenziare tale rischio è la Nota della Santa Sede sull’intelligenza artificiale, che si sofferma sulla necessità della riservatezza di tali dati, in quanto “gioca un ruolo centrale nel proteggere i confini della vita interiore delle persone e nel garantire la loro libertà a relazionarsi, a esprimersi e a prendere decisioni senza essere controllati in modo indebito”. Senza contare la difesa della libertà religiosa, “in quanto la sorveglianza digitale può essere usata anche per esercitare un controllo sulla vita dei credenti e sull’espressione della loro fede”. La questione della privacy, quindi, va affrontata “a partire dalla preoccupazione per una legittima libertà e per la dignità inalienabile della persona al di là di ogni circostanza”, in nome del diritto alla salvaguardia della vita privata “nel contesto del diritto della persona a una buona reputazione, alla difesa della sua integrità fisica e mentale e a non subire violazioni e indebite intrusioni: tutti elementi afferenti al dovuto rispetto della dignità intrinseca della persona umana”. “I progressi nell’elaborazione e nell’analisi dei dati resi possibili dall’IA consentono di individuare degli schemi nel comportamento e nel pensiero di una persona anche a partire da una minima quantità di informazioni, rendendo così ancora più necessaria la riservatezza dei dati come salvaguardia della dignità e della natura relazionale della persona umana”, il grido d’allarme della Santa Sede, secondo la quale “sebbene ci possano essere modi legittimi e corretti di usare l’IA in conformità alla dignità umana e al bene comune, non è giustificabile il suo impiego a fini di controllo per lo sfruttamento, per limitare la libertà delle persone oppure per avvantaggiare pochi a spese di molti”. L’unicità della persona, inoltre, non può essere identificata con un insieme di dati, che “possono essere contaminati da pregiudizi e preconcetti sociali”: “Tanto più che il comportamento passato di un individuo non dovrebbe essere usato per negargli l’opportunità di cambiare, di crescere e di contribuire alla società. Non possiamo permettere che gli algoritmi limitino o condizionino il rispetto della dignità umana, né che escludano la compassione, la misericordia, il perdono e, soprattutto, l’apertura alla speranza di un cambiamento della persona”.

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