La Comunità di Sant’Egidio di Milano esprime “profondo dolore” davanti alla morte di Youssef Mokhtar Loka Barsom, ragazzo diciottenne che nella notte tra il 5 e il 6 settembre ha perso tragicamente la vita nell’incendio scoppiato nella cella in cui era detenuto nel carcere di San Vittore a Milano.
“La sua morte è un grido di dolore non isolato che emerge dalle carceri italiane, una evidenza che è impossibile non ascoltare e una denuncia drammatica rivolta all’intero Paese per le condizioni che molti uomini e donne stanno vivendo”, dice la Comunità di Sant’Egidio di Milano, che denuncia tutto quello che aggrava la situazione in cui versano le carceri: “Sovraffollamento oltre ogni limite accettabile, chiusure dei detenuti nelle celle invece che sorveglianza diffusa, dilagante disagio psichiatrico come causa ed effetto delle condizioni penose, uso e abuso spregiudicato di psicofarmaci, carenza cronica di personale della polizia penitenziaria che soffre anche di inadeguata formazione a fronte dei mutamenti della popolazione carceraria, ambienti inadatti e squallidi come quelli di San Vittore e di altre carceri italiane, scarsità di occasioni educative e percorsi lavorativi soprattutto nella delicata fase della scarcerazione per tutte le detenute e i detenuti”. Sono, osserva la Comunità di Sant’Egidio di Milano, “alcuni dei mali cronici del sistema detentivo in Italia che producono solo disperazione, non senso della vita, sfiducia nel futuro, discriminazione, dolore e rabbia. Sentimenti che non possono che esacerbare la vita di chi è detenuto, pregiudicare le scelte di chi torna a vivere nella società dopo il carcere e accrescere la distanza tra carcere e società”.
“La sofferenza psichica che ha ingabbiato la giovane vita di Youssef, simile a quella di tanti altri detenuti di cui la Comunità si occupa, si è intrecciata a quella provocata da condizioni penose di vita, che non dovrebbero avere a che fare con la detenzione”, precisa la Comunità di Sant’Egidio di Milano, che lancia un appello: “Il dolore per la morte di un ragazzo non può rimanere un sussulto momentaneo o un moto passeggero di sdegno. Chiediamo con forza che questa tragica vicenda segni un cambio di passo nella consapevolezza e di responsabilità, un impegno fattivo delle tante componenti sociali che possono interagire con il carcere, ma soprattutto generi velocemente azioni decisive ed efficaci di sistema. Lo chiediamo con forza alle istituzioni competenti perché non possiamo permetterci di perdere altri Youssef, perché il livello di civiltà di un Paese si misura dalle condizioni delle sue carceri”.