“L’arte del dialogo qui rifondata, nella chiesa sinodale è decisiva, alternativa a tutti i dialoghismoi che più o meno consapevolmente portiamo in cuore. Arte che nasce – lo capiamo da questo Vangelo – da un piano di realtà, che Dio assume: dal dolore di una sordità percepita”. Lo ha detto madre Maria Ignazia Angelini, nella sua riflessione per le lodi di stamani, in occasione del ritiro di preparazione al Sinodo in Vaticano. “Le culture cui apparteniamo esitano a esporsi a questa sete (di Dio, ndr), a integrarla nei loro sistemi simbolici, faticano: tanto sono inficiate da logiche di impresa, di potere, mercato, fitness. O da logiche evasive. Che perseguono sogni di libertà come auto determinazione: ma il salmo che abbiamo appena ridesta la sete del Dio vivente. Lui, il Vivente, ha sete di questa sete, come attesta l’antico monaco: ‘Dio ha sete di chi abbia sete di lui’. E Teresa la Calcutta ci ha richiamato con umile forza. Esporsi lungamente alla sua luce, dimorare nel Vangelo ‘come nella carne di Cristo’ (Ignazio di A.): questo è ritiro, inverante. Come accogliere vicino a sé, in sé stessi, il bambino”. Continuando la riflessione sull’essere “alla ricerca di nuove narrazioni che aprano l’orizzonte della speranza”, la religiosa ha ricordato le parole di Papa Francesco, che “ci abbozza alcune piste su cui cercare di rintracciare la narrazione che sconfigge solitudini e mutismi”.