Scuola: mons. Trevisi (Trieste), “sia per tutti il tempo della maturazione nella propria umanità”

“Si partecipa alla vita perché la si riceve in dono. Si va a scuola dapprima perché un obbligo, ma poi, come per la vita, vi si intuisce un senso, un valore, una intrinseca necessità di parteciparvi attivamente, di non sprecare le occasioni”. Lo scrive mons. Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, in un messaggio, in italiano e sloveno, al mondo della scuola, in occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico.
“Partecipare – osserva il presule – vuol dire che entro in spazi, in tempi e soprattutto in relazioni. Con persone, con pensieri e saperi che ci precorrono, con metodi di studio che ci cambiano. Partecipare vuol dire non essere soli. Riconoscere che siamo in debito con chi ci ha preceduto e che ha lasciato un sapere da apprendere e di cui avvantaggiarsi. Con l’impegno a non ripeterne gli errori. Partecipare vuol dire mettersi nel flusso delle generazioni e dunque della storia: non solo la gratitudine per quello che abbiamo ricevuto da chi ha cercato, pensato e sperimentato nel passato ma anche con il desiderio di contribuire ad un bene che ci supera e che vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi”.
Il vescovo aggiunge: “Tutti proveniamo da una famiglia in cui abbiamo fatto i primi passi e abbiamo appreso le prime mosse (o regole) per partecipare con altri nel nostro crescere e apprendere”, ma “la scuola è un’istituzione sociale in cui ci si inserisce con altri, sia coetanei che adulti, dove la partecipazione assume altre modalità, dove si imparano altre prassi e regole con cui misurarsi. La partecipazione si amplia, le relazioni si moltiplicano, le aspettative – proprie e altrui – si confrontano e fanno percepire un’esigenza di giustizia, di un bene che va protetto e tutelato anche se siamo (e abbiamo idee) così differenti gli uni dagli altri. Non può essere il conflitto violento, non può essere la guerra a dirimere le differenze. Siamo in ricerca di una umanità migliore!”.
Regolamenti e statuti, registri e voti, programmi e competenze, note disciplinari e diplomi, interrogazioni ed esami… Per mons. Trevisi, “tutto ha senso se ci si connette con oggettive esigenze di giustizia, di un bene che va ricercato e per il quale impegnarsi. Ma quale è il bene che ci fa entrare nella scuola, che ha fatto inventare la scuola?”.
Talvolta, la risposta, “la ricerca di questo bene e di questa giustizia resta sullo sfondo e ci perdiamo in nozioni o formule, procedimenti e regole che non entusiasmano nessuno e di cui si soffre senza che ci si aiuti a comprenderne il senso”.
Il vescovo augura a tutti “un anno in cui da protagonisti si partecipa: e non solo per un buon andamento delle lezioni, per un proficuo apprendimento dei programmi… ma per la crescita di una comunità vera, fatta di persone che imparano a stimarsi e a dare il proprio apporto”.
Di qui l’auspicio: “La scuola sia per tutti il tempo della maturazione nella propria umanità: sapendo che essa fornisce occasioni ma che poi ciascuno deve attivarsi personalmente. C’è tutto un mondo di sofferenza che aspetta, che spera il nostro positivo apporto”. Il presule confida: “Io in questo reciproco prendersi cura gli uni degli altri, nella propria singolare umanità, ci leggo una misteriosa presenza di Dio che passa anche nella docilità di ciascuno alle esigenze di bene e di giustizia che sempre stanno oltre le nostre importanti ma precarie realizzazioni”. Mons. Trevisi conclude: “Vale la pena non sciupare il tempo della scuola, che è sempre tempo di scoperte e di meraviglia. Ci sono conoscenze (tecniche e scientifiche) che sono accresciute enormemente e di cui ci avvantaggiamo tutti. Ma ci sono valori che ogni generazione, che ogni persona deve ri-conquistare daccapo. Anche per questo la scuola è preziosa”.

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