Funerali mons. Tinti: mons. Castellucci (Carpi), “un uomo veramente cordiale, dono che il Signore gli aveva elargito senza avarizia”

“Era un uomo veramente cordiale. Accoglieva tutti con una esclamazione di benvenuto, contemporaneamente porgeva la mano e si apriva in un sorriso. Non ho mai avuto l’impressione che si sforzasse, la sua cordialità gli era connaturale. Era un dono che il Signore gli aveva elargito senza avarizia”. Così mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, ha tratteggiato la figura di mons. Elio Tinti, vescovo emerito di Carpi, di cui nel pomeriggio ha presieduto i funerali in cattedrale. La liturgia è stata concelebrata dal vescovo emerito di Carpi, mons. Francesco Cavina, dal vescovo emerito di Forlì-Bertinoro, mons. Lino Pizzi e da numerosi sacerdoti e religiosi di Carpi, Modena-Nonantola e di altre diocesi. Il vescovo di Cesena-Sarsina, mons. Douglas Regattieri, già vicario generale del vescovo Tinti, in pellegrinaggio a Lourdes in questi giorni, ha inviato un messaggio letto alla fine della messa. Ad introdurre la celebrazione con un ricordo di monsignor Tinti, il vicario generale della diocesi di Carpi, mons. Gildo Manicardi.
“Un’esplosione di affetto si è manifestata alla notizia della morte di don Elio. Ho ricevuto tantissime attestazioni in cui ritornavano spesso queste due idee: cordialità e vicinanza”, ha affermato mons. Castellucci all’inizio dell’omelia nella quale si è soffermato sulla cordialità di mons. Tinti: “È una virtù che contiene la parola ‘cuore’, parola che nella Bibbia ricorre centinaia di volte ed esprime non solo la sfera sentimentale, ma anche quella dell’intelligenza e della moralità. Don Elio aveva un cuore grande, non era sentimentale però metteva passione autentica in tutto ciò che viveva, sia nelle relazioni come nelle iniziative”. Inoltre, ha aggiunto, “aveva un’ottima intelligenza, non era un intellettuale ma sapeva usare bene la ragione, specialmente nell’ambito della cultura giuridica e della spiritualità. Aveva una forza di volontà incredibile, non era però uno stoico, ma si affrettava ad attribuire alla grazia di Dio tutto ciò che faceva di buono. Solo chi coltiva la lode di Dio nel suo intimo può guadagnare un tratto umano così bello”.
La vita di mons. Tinti, ha ricordato mons. Castellucci, è stata segnata più volte dalla malattia e da gravi lutti, sempre sostenuti con una “fede granitica”. “Proprio questa sua consuetudine con la sofferenza lo ha portato ad essere così sensibile alla sofferenza altrui: ed ecco la seconda parola, vicinanza. La famigliarità con le fatiche ha forgiato la sua capacità di farsi prossimo – ha sottolineato –, non solo di essere vicino alla gente ma anche di farlo capire, di trasmettere quasi fisicamente l’energia della sua presenza. Il giogo di Gesù si è appoggiato sulle spalle di don Elio ma non l’ha schiacciato, gli ha dato piuttosto la capacità di sollevare altri dal giogo, di prendere spesso su di sé le situazioni dei ‘piccoli’, come li chiama il Vangelo, cioè di quelli che richiedono cura e attenzione pastorale, sacerdoti, religiosi e religiose, laici, famiglie, sani e ammalati”.
L’ultimo segno della vicinanza di don Elio, ha concluso l’arcivescovo, “è la decisione di ricevere la sua sepoltura qui nel Duomo che è stato il centro del suo ministero, della Chiesa e della città che lui ha tanto amato e che lo ha tanto amato”.
Prima della benedizione finale, si è data lettura del testo, quasi un’omelia, che mons. Tinti aveva scritto per quella che sarebbe stata la sua messa esequiale (testo datato 18 gennaio 2010). E che comincia con le parole: “Sono giunto a casa…”. Infine, la sepoltura in cattedrale, accanto ad altri tre vescovi di Carpi, suoi predecessori, mons. Giovanni Pranzini, mons. Federico Vigilio Dalla Zuanna, e mons. Artemio Prati.

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