Neonati uccisi: la psicoterapeuta Grappone, “ha negato a sé stessa fino alla fine l’esistenza del bambino, e quando ha preso forma ha dovuto ‘eliminarlo'”

Foto ANSA/SIR

Una forma di dissociazione dalla realtà: “Fino alla fine Chiara ha voluto negare a sé stessa l’esistenza del bambino che cresceva in lei”, ma il momento del parto “ha rappresentato la resa dei conti. Quando il figlio ha preso forma reale davanti ai suoi occhi ha dovuto ‘eliminarlo’”. In un’intervista al Sir Noemi Grappone, psicologa psicoterapeuta Emdr practitioner, e membro di Emdr Italia, tenta di ricostruire, sulla scorta degli elementi emersi ad oggi dalle indagini, la vicenda che vede Chiara Petrolini, 22 anni, accusata dell’omicidio dei suoi due figli neonati, trovati sepolti nel giardino della villetta dove la ragazza vive con la famiglia a Vignale di Traversetolo, in provincia di Parma.
Grappone richiama la sindrome di Medea: “il non avere mai fatto controlli medici durante la gravidanza ci dice il distacco, la negazione e la mancanza di cure caratteristici di questa sindrome. Ma non sono sicuramente mancati dei campanelli d’allarme; spesso molti segnali vengono purtroppo ignorati”. Secondo l’esperta, occorre “valutare la sua condizione psichica pregressa”. Chiara, ipotizza, “potrebbe avere una bassa autostima, un attaccamento di tipo disorganizzato nei confronti della madre. E per quanto riguarda il contesto familiare, la strage di Paderno Dugnano, ma non solo, ci dimostra che talvolta l’apparenza inganna: non sempre la famiglia è funzionale come sembra”. Qualcosa, sottolinea, “non torna in una duplice gravidanza tenuta nascosta e anche nell’affermazione della madre di Chiara di non essersi accorta – come gli altri familiari – della gestazione della figlia. E poi, che cosa sappiamo realmente del padre? Spesso le madri che uccidono hanno un profilo passivo, di immaturità e dipendenza; bisognerebbe capire che tipo di relazione aveva con il partner”.
Quando avrà piena consapevolezza della gravità dei suoi gesti, come potrebbe reagire? Quale percorso di recupero, se possibile? “La presa di coscienza – risponde Grappone – non è un processo lineare; in ogni caso occorre delineare le condizioni che hanno portato all’infanticidio, tenendo conto che spesso chi commette questo reato ha un assetto diverso e un basso grado cognitivo rispetto a chi commette omicidi su adulti. Occorre avere un quadro ben definito e certo per elaborare un progetto riabilitativo che possa essere realistico. Tuttavia, il ravvedimento e la riabilitazione non sono processi scontati”.

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