Giovani e sport: mons. Sigalini (Cop), “giocare è sempre un inno alla vita, che arriva dritto al suo Signore”

“Chiarito che sport è gioco e non business, professione e non avventura, gara e non guerra, divertimento e non violenza… e tanti altri elementi che ne conseguono; chiarito che educazione non è operazione idraulica di travasi, imbuti e contenitori, ma offerta di ragioni di vita… è interessante collegare lo sport a tutta quella urgenza che i giovani di oggi hanno di sentirsi offrire ragioni, di vita, cercarle, approfondirle entro una esperienza che le permette, le affina, le fa esaltare, le scrive con determinazione nelle coscienze, le fa trovare nella concretezza dei rapporti, degli sforzi, del superamento di sé”. Lo scrive mons. Domenico Sigalini, presidente del Cop, in una riflessione pubblicata sulla newsletter del Centro di orientamento pastorale.
“Essere sportivi è avere una meta, è godere di una compagnia, è sentirsi di una squadra – spiega -. Essere sportivi è allenarsi a vivere la partita della vita, in cui ci vuole tutta la grinta possibile, perché in quella non si può perdere mai. Giocare è sempre un inno alla vita, che arriva dritto al suo Signore. Chi gioca non si monta la testa, ma la usa. I piedi sono solo per calciare il pallone, o per dare stabilità e slancio al corpo; le gambe solo per scattare e correre, il cuore per pompare sangue e non dimenticare mai che anche lo sport sta in piedi per amore. Le gare misurano le forze; le partite mettono in gioco le relazioni”. Lì nel campo “ci stanno giovani con i loro corpi scattanti, ci sono gli altri. Gli altri sono sempre e solo amici, non sono mai solo concorrenti, altrettanto ben allenati, intelligenti e vivaci. Vincere o perdere conta molto, ma non è tutto. Ogni partita è una partita della vita non di un torneo. Ci si mette corpo e anima, personalità e sogni, se stessi e si cresce come uomini e donne. Lo sport inoltre immette ideali laddove c’è la noia, offre compagnia dove vince la solitudine, amicizia dove prevale lo sfruttamento reciproco”.
Nello sport “si manifestano in maniera armonica alcuni elementi necessari dell’educazione: le domande dei giovani; gli obiettivi dello sport e della vita; gli strumenti; la valutazione”.
Il punto più delicato è “far incontrare domande e obiettivi, non ridurre lo sport ad assoluto, per cui comanda l’obiettivo della riuscita della prestazione, della vittoria ad ogni costo, isolandolo dall’obiettivo fondamentale che è quello del vivere aperti e solidali, felici e generosi, entusiasti e sereni”. Nello stesso tempo “è assolutamente oggi necessario che il giovane sia tenuto in conto per quello che è e non per la prestazione che dà. Ha delle domande, dei sogni, delle attese, dei bisogni che devono essere fatti emergere e armonizzati nel corso della preparazione e della prestazione sportiva. Se questo è vero ogni dimensione della vita deve essere tenuta sotto traccia: l’affettività, il progetto del futuro, la religiosità, il lavoro, lo studio, la professione, le amicizie, la salute…”.
In una società globalizzata anche nel modo di interagire delle risorse e dei problemi “non si possono creare isole specialistiche che ignorano il resto e creare mostri o fenomeni che sanno tutto del pallone o dei campi e niente della vita, e del suo Signore. È pure dimostrato che uno sportivo che ha una personalità armonica è più capace di resistere e di qualificarsi. Per questo anche lo sport non è autosufficiente nell’educare alla vita, ha bisogno di entrare in circolo con una sorta di costituente educativa fatta da tutti gli interattori della vita”.

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