Diocesi: Milano ricorda san Paolo VI. Del Zanna, “con Montini una Chiesa che guarda alla città e si lascia interrogare”

Nell’anniversario della morte di san Paolo VI (6 agosto 1978), il portale della diocesi di Milano ripercorre i tratti salienti del suo magistero come arcivescovo di Milano con l’aiuto di Giorgio del Zanna, storico che a quell’episcopato ha dedicato il recente volume “Montini a Milano”. “Montini era un prete colto che fin da giovane aveva lavorato in Segreteria di Stato e che, quindi, giungeva a Milano con un’esperienza soprattutto diplomatica”, afferma lo storico, e “l’unico impegno pastorale – comunque per lui molto importante – era stato quello di assistente nazionale della Fuci”. Intervistato da Annamaria Braccini, Del Zanna ricostruisce l’episcopato a partire dal suo inizio, nel gennaio 1955. Quindi, sollecitato dalle domande della giornalista, afferma: “Montini percepisce che la fede cristiana deve trovare una sua vitalità più profonda, che si leghi anche alle dinamiche della società contemporanea, per poter rispondere alle sfide del tempo. In questo senso, avverte che c’è un allentamento della fede per i grandi cambiamenti culturali, antropologici, di costumi e di mentalità, indotti soprattutto dall’industrializzazione e urbanizzazione. Pur in un’Italia ancora fortemente credente e per cui si parlava di egemonia cattolica con i governi della Democrazia cristiana, il rischio c’è e l’arcivescovo, con la sua lucidità e intelligenza, lo vede”. La Lettera pastorale del 1957, anno della “grande missione cittadina”, “muove proprio dall’idea che questa religiosità vada risvegliata in modo più autentico e, soprattutto, in una forma non solo personale, ma collettiva. Qui si colloca anche la necessità di dare centralità alla liturgia”.
Del Zanna osserva: “La Missione del 1957 è un evento epocale, non solo per le sue dimensioni: chiamati a predicarvi furono moltissimi sacerdoti, due cardinali – Lercaro e Siri –, 24 tra arcivescovi e vescovi, tante delle figure più rilevanti e significative del cattolicesimo italiano di quegli anni, da Turoldo a Mazzolari e Barsotti. Fu un evento unico nella storia della Chiesa, che ha voluto essere uno strumento di comunicazione semplice e diretto, rivolto a tutti. Il significato profondo della Missione è quello di una Chiesa che va – e in effetti andò – verso i mondi anche più ‘lontani’, parlando in una forma simile a quella che Papa Francesco chiama oggi ‘Chiesa in uscita’. […] La Missione, con il tema di ‘Dio Padre’, fu un momento di comunicazione del Vangelo, guidato dalla logica di riconnettere le persone a una dimensione del trascendente, ma anche di fraternità umana”. La Missione del ’57 “fu una risposta a ciò che andava mutando nella società”.
Qui l’intervista integrale.

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