Settimana liturgica nazionale: mons. Fisichella, “celebrare la gloria di Dio equivale a farla risplendere, non a eclissarla con un profluvio di parole e musiche”

“Il sacerdote ha bisogno di impegnarsi nella celebrazione del mistero eucaristico perché quanti partecipano possano cogliere di essere veramente alla presenza di Dio. Tutto quanto distoglie da questa finalità va a detrimento della liturgia, cioè della preghiera della Chiesa nella sua massima espressione”. Lo ha sottolineato, stamattina, mons. Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione – Sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo, intervenendo alla 74ª Settimana nazionale liturgica, che si conclude oggi a Modena.
“Spiace dirlo, ma capita a volte di trovarsi immersi in liturgie dove Dio è solo un ornamento, un richiamo vago e quindi superfluo, perché tutta l’attenzione è posta sul celebrante e la sua capacità di coinvolgere umanamente la platea; tutti intenti a celebrare se stessi più che dare la gloria a Dio – ha avvertito il presule -. Non è con l’ambiguità dei segni e delle parole che si rende il culto a Dio, ma con il silenzio dell’adorazione dando spazio allo Spirito. Vivere la contemporaneità con Dio impone al sacerdote e all’assemblea di entrare nell’orizzonte del divino, non di rimanere sulla soglia con convenevoli che esulano da ogni contesto di preghiera. Celebrare la gloria di Dio equivale a farla risplendere, non a eclissarla con un profluvio di parole e musiche che mettono a dura prova anche il più mite e paziente cristiano entrato in chiesa con l’intento di pregare. La partecipazione attiva all’eucaristia significa che tutti i presenti volgono il loro sguardo a Cristo che si offre al Padre nello Spirito Santo e all’unisono si rivolgono all’unico Dio che li ha chiamati a una vita nuova nel suo amore”.
Nell’eucaristia, pertanto, “si è posti dinanzi a una persona non a un’idea astratta – ha evidenziato mons. Fisichella -. Non vi è nessuna rappresentazione del mistero da parte del sacerdote; piuttosto, l’attuazione dell’unico sacrificio di Cristo che coinvolge in prima istanza il sacerdote stesso, imprimendo in lui la capacità di compiere atti che superano la sua stessa esistenza personale”.
“Quando pregate”; avviandosi verso la conclusione il pro-prefetto ha evidenziato: “La questione di fondo permane in tutta la sua drammaticità perché coinvolge ognuno di noi come credenti e per molti di noi come ministri del mistero eucaristico”. La preghiera, ha osservato, “richiede di essere vissuta. La sua efficacia proviene dall’essere inserita in Cristo, il Figlio che raccoglie in sé la Parola di Dio e le parole degli uomini per farne diventare un’unica offerta gradita al Padre. Questa preghiera permette di guardare in profondità se stessi per scoprire di essere orientati a Dio. Quanto più si ritrova Dio e tanto più si dimentica se stessi per scoprire cosa Lui ha progettato per ciascuno di noi”. Nella sua semplicità, ha concluso, “la preghiera obbliga a raggiungere il silenzio per diventare contemplazione del mistero dell’amore di Dio che invita a condividere la sua stessa esistenza. L’esperienza della comunione non potrebbe trovare espressione migliore di questa. Una dimensione vera e reale che non può essere individualisticamente conservata solo per se stessi, ma necessariamente partecipata e condivisa. Ecco perché la preghiera, ogni preghiera, è pervasa dalla fede nel mistero della Trinità: è rivolta al Padre per Cristo e nello Spirito Santo e rimane nella sua dimensione ecclesiale come azione della Chiesa, nella Chiesa e per la Chiesa”.

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