“Qui a Port Sudan si sta male in questo momento”. Padre Salvatore Marrone è l’unico comboniano italiano rimasto in Sudan, assieme a tre confratelli non italiani. Svolgono il loro ministero a Port Sudan, nella regione in cui si contano ancora le vittime per il crollo della diga di Arbaat. “Si sta male – spiega il missionario alla redazione di Popoli e Missione – anzitutto per il clima: abbiamo 43 gradi, non c’è corrente e siamo in una sorta di conca dove la stagione delle piogge è sempre il periodo peggiore. Quando piove in modo abbondante l’acqua resta”. Per via della guerra, sottolinea il missionario, “non ci possiamo spostare. Ma nonostante tutto io ritengo che il crollo della diga sia stato causato più dalla mancanza di manutenzione che dalle piogge abbondanti. Qui in Sudan oramai nessuno si interessa più di nulla, è un Paese alla deriva, è un Paese abbandonato a se stesso”. Parlando della guerra in corso afferma che si è trasformata da conflitto tra due generali in un far west totale; però non parla di guerra civile, poiché “i civili qui sono soltanto vittime”. “La vita non vale niente qui – dice –, ma noi come Chiesa cerchiamo di continuare a dire che invece la gente conta, che la vita conta e che vogliamo camminare con loro e condividere tutto con chi soffre”.