Oggi ricorrono 500 giorni dall’inizio della guerra in Sudan che ha scatenato la peggiore crisi umanitaria mai affrontata da questo Paese. “È vergognoso che le organizzazioni internazionali e i donatori non siano riusciti in oltre 16 mesi a fornire una risposta adeguata ai crescenti bisogni medici della popolazione, dalla terribile malnutrizione infantile alla diffusione di epidemie. Le pesanti restrizioni imposte da entrambe le parti in conflitto hanno limitato drasticamente le capacità di fornire gli aiuti necessari”, afferma Medici senza frontiere (Msf).
I combattimenti tra le Forze di supporto rapido (Rsf) e le Forze armate sudanesi (Saf), cominciati nella capitale Khartoum il 15 aprile 2023, si sono estesi in molte altre zone del paese, scatenando una crisi umanitaria senza precedenti.
“Oggi i bambini muoiono di malnutrizione in tutto il Sudan. Gli aiuti di cui hanno urgente bisogno arrivano a malapena e, quando arrivano, vengono spesso bloccati – dice Tuna Turkmen, coordinatore delle emergenze di Msf in Darfur -. A luglio, per esempio, i camion con le forniture di Msf sono stati bloccati in due diverse località del Darfur prima di poter giungere a destinazione. Due camion sono stati trattenuti dalle Rsf e uno è stato sequestrato da uomini armati non identificati”.
La situazione è critica anche nel Sudan orientale e centrale. “A sud di Khartoum, il blocco di forniture mediche e di personale internazionale diretto negli ospedali è durato diversi mesi. Sta diventando sempre più difficile fornire ai nostri pazienti l’assistenza medica di cui hanno bisogno, compresa quella per le donne in gravidanza e di pronto soccorso”, dichiara Claire San Filippo, coordinatrice delle emergenze di Msf in Sudan.
Oltre agli impedimenti posti dalle parti in conflitto, ora anche le calamità naturali ostacolano i movimenti del personale umanitario e l’arrivo delle forniture. La stagione delle piogge è al suo culmine e le forti piogge hanno già allagato diversi punti di attraversamento e spazzato via strade e ponti cruciali. Nel frattempo, il conflitto ha messo fuori servizio quasi l’80% delle strutture sanitarie, secondo l’Oms, paralizzando un sistema sanitario già in difficoltà. Solo a El Fasher, le strutture supportate da Msf sono state attaccate 12 volte. Rimane solo un ospedale pubblico parzialmente funzionante e in grado di effettuare interventi chirurgici, da quando i combattimenti si sono intensificati in città a partire da maggio. La situazione non è affatto migliore nei paesi vicini, dove circa 2 milioni di persone hanno cercato rifugio, spesso separandosi dai propri cari.
“Msf cerca di colmare alcune lacune. In molti luoghi in cui operiamo siamo l’unica organizzazione internazionale presente, ma non possiamo affrontare questa enorme crisi da soli. Stiamo anche lottando per far arrivare le forniture e il personale sui nostri progetti. Oltre all’accesso, è essenziale garantire finanziamenti continui alle agenzie delle Nazioni Unite, alle organizzazioni, anche locali, che stanno sostenendo il peso di questo intervento – conclude Esperanza Santos, coordinatrice delle emergenze di Msf a Port Sudan -. È necessario un intervento tempestivo che consenta agli aiuti di raggiungere le persone in difficoltà. Non c’è più tempo da perdere”.