È rimasto un “figlio del Sud” e ha “saputo vivere uno stile di servizio accogliente e attento alle persone, chiaro e coerente. Ha saputo conservare la libertà, pur in una chiara appartenenza politica; il che gli ha consentito di rispettare e cercare questo grande bene in coloro che ne sono privati”. È quanto ha detto questa mattina l’ordinario militare per l’Italia (Omi), mons. Santo Marcianò, nella cattedrale di Locri durante le esequie di Felice Maurizio D’Ettore, Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale (Gnpl) e già membro della Camera dei deputati, scomparso nei giorni scorsi. Nel mondo delle carceri – ha detto mons. Marcianò – “la speranza può essere nascosta in esperienze di impegno, lavoro, creatività, arte, solidarietà, che associano al riscatto sociale una rinascita dell’umano e che tentano di valorizzare una funzione rieducativa della pena. Ancor prima, però, la speranza si fonda sulla convinzione – convinzione forte in Felice Maurizio – che il carcerato, quali che siano i suoi crimini certi o presunti, è persona e rimane persona! È pertanto destinatario della ‘dignità infinita’ da riconoscere a ogni persona, in qualunque stato o situazione di vita, inclusa la sua recuperabilità”. Per questo “mi piace definire Felice Maurizio D’Ettore un uomo di speranza. Perché il suo operare, nato dalla fede e concretizzato nella carità, ha cercato sempre di proiettarsi verso orizzonti nuovi, invisibili, talora apparentemente impossibili da raggiungere, ma intravisti nella speranza di chi ha fiducia nell’essere umano ed è consapevole di come il futuro si costruisca camminando e lavorando assieme, con l’impegno quotidiano, generoso e gioioso”. Un “uomo speciale”, ha detto ancora l’ordinario militare, al quale, nel tempo, “sono stati affidati incarichi di notevole rilevanza culturale e accademica, sociale e politica; grandi responsabilità e missioni prestigiose e faticose per il nostro Paese, fino al delicatissimo compito di garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, che ne ha quasi compendiato l’opera, segnandola con un particolare impegno verso il mondo complesso dei detenuti. Compito che, in un tempo relativamente breve, ha fatto ulteriormente conoscere la mente, il cuore e – direi – l’animo di Felice Maurizio, che la Parola di Dio ci aiuta a penetrare, consentendoci di rileggere la sua vita come dono. Dono per tanti, oltre che per i suoi cari: come interpretare diversamente gli innumerevoli attestati di stima, di affetto, di ammirazione che continuano a giungere da vertici dello Stato e da personalità politiche anche di orientamenti diversi, come pure da colleghi e collaboratori che, non di rado, lo definiscono anzitutto un ‘amico’? Dono per i poveri, per gli ultimi; per i ‘fratelli più piccoli’, come li chiama Gesù nel Vangelo, annoverando tra essi anche i carcerati”. Mons. Marcianò ha ricordato come egli ha richiamato l’attenzione sulla situazione delle carceri, “evidenziando problemi più volte sollevati da Papa Francesco o dal presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella: penso, ad esempio, al sovraffollamento con le conseguenti complicazioni igienico-sanitarie, le prevaricazioni e le violenze, la sicurezza e l’isolamento, i drammi delle dipendenze e dei suicidi… Problemi messi in luce non per polemizzare ma per renderli condivisi da parte di tutta la comunità civile, cercando insieme soluzioni possibili e concrete, con coraggio e fede”.