“Nel mondo di oggi esistono molti strumenti giuridici, almeno formalmente, come le Convenzioni di Ginevra che definiscono il trattamento dei prigionieri, sia militari sia civili, oppure dei feriti gravi. Abbiamo anche le Nazioni Unite. Abbiamo diversi Paesi che vengono chiamati potenze mondiali oppure aspirano a diventare tali. Ma rispetto a tutti questi strumenti è come se si sbriciolassero di fronte alla realtà della guerra, incapaci di prevenirla e di fermarla”. È un’analisi cruda sulle realtà della guerra purtroppo in corso in Ucraina e sulle reali prospettive di una pace “giusta”, quella delineata ieri pomeriggio dal nunzio apostolico di Kiev, mons. Visvaldas Kulbokas, che è intervenuto in collegamento video al panel del Meeting di Rimini dal titolo “Se vuoi la pace, prepara la pace”, al quale sono intervenuti anche Oleksandra Matvijcuk, avvocata ucraina, premio Nobel per la Pace 2022, e Angelo Moretti, portavoce del Movimento europeo di azione nonviolenta (Mean). “E quindi – prosegue il nunzio – rimane la questione: che cosa fare di fronte alla guerra? Come ricostruire la pace? Come sottolinea Papa Francesco, le armi non possono mai essere una soluzione alla guerra. E, aggiungo, neanche le armi della difesa, che sono pur legittime e giustificabili. Proprio perché le armi da sole non arrivano al fondo del problema, non alle cause della guerra”. Il nunzio racconta la sua esperienza maturata in questi due anni e mezzo da “ambasciatore” di Papa Francesco a Kiev. “La vita insegna che di fronte alle sfide e alle tragedie che sono enormi, anche gli sforzi devono essere altrettanto enormi. Non sono sufficienti risorse ordinari”. Il nunzio presenta quindi una sua prospettiva al riguardo. “Le guerre – dice – non seguono nessuna regola e si evolvono molto rapidamente. Per questo le istituzioni, più o meno rigidamente regolate all’interno, diventano in gran parte inermi di fronte a questa tragedia della guerra”. Al contrario, “le persone hanno un potenziale altissimo di reagire a qualsiasi emergenza. Questo è il motivo per cui dico che ripongo la mia speranza nella società civile che mi sembra abbia in questo momento, più possibilità d’essere energica, dinamica, concreta e incisiva. Parlo di persone, singolarmente prese e di gruppi di persone che prendono a cuore le sfide, riflettono insieme e cercano le possibilità di affrontarle”. “Abbiamo bisogno di essere insieme, di metterci in ascolto gli uni con gli altri, superare pregiudizi, superficialità e sordità, tessere una rete di amicizia per l’umanità. Non per dovere, ma essendo spinti dal cuore”, conclude.