“Immaginate di essere un chirurgo con un paziente a cui sono stati tagliati gli arti, che sanguina molto, e di dovergli salvare la vita con le mani legate dietro la schiena e gli occhi bendati: questa è la situazione in cui si trovano gli operatori sanitari a Gaza”. È la testimonianza di Jamal Imam (nome di fantasia, ndr), dottore impegnato a Gaza nel team sanitario di Save the Children, diffusa oggi dall’organizzazione, in occasione della Giornata mondiale dell’aiuto umanitario.
Il lavoro di medico di Imam ha preso una piega inaspettata 14 anni fa, “quando – racconta – ho iniziato a operare nella Striscia di Gaza, un luogo in cui la vita delle bambine e dei bambini, ogni giorno, è in bilico, ora più che mai. Ho trascorso anni ad affrontare l’immane sfida di fornire assistenza di fronte a un blocco di 17 anni e a continue guerre. Ho iniziato a lavorare con Save the Children come specialista della nutrizione all’inizio della guerra, a ottobre dello scorso anno. Fornisco assistenza e supporto ai bambini che soffrono di malnutrizione in condizioni estremamente difficili. La mia storia non riguarda solo la medicina, ma anche la sopravvivenza, la resilienza e lo spirito inflessibile di un popolo sotto assedio”.
Ogni giorno, aggiunge, “sono testimone di innumerevoli storie strazianti: bambini che cerco di salvare, madri che si rivolgono a me sperando che io possa fare miracoli per salvare i loro piccoli. Sono tutti privati dei bisogni più elementari per la sopravvivenza, mentre noi siamo senza gli strumenti essenziali per salvare vite umane – dalle forniture mediche ai materiali di cui abbiamo bisogno per fare il nostro lavoro. Le persone vengono da me e hanno bisogno di tutto, non solo delle cure mediche che dovrei fornire, ma anche di cibo e di sicurezza, che desiderano disperatamente. Ma eccoci qui, quasi impotenti di fronte a un bisogno così pressante. Offriamo quello che possiamo, ma la grave carenza di farmaci e di forniture ci lascia quasi impotenti”.
Il medico confida: “Vivo ogni giorno afflitto dalla paura che oggi possa essere il giorno in cui perderò un familiare, un collega, un bambino che ho curato o addirittura tutta la mia famiglia in un singolo attacco aereo. La paura di tornare dal lavoro e scoprire che il mio quartiere è stato bombardato e di tornare e trovare i resti dei miei figli raccolti in un sacchetto di plastica. Questa è la realtà di Gaza. È ciò che ci perseguita tutti, giorno e notte, distruggendo il nostro sonno e divorando i nostri pensieri”.
Infatti, “gli operatori umanitari qui non sono solo professionisti, sono persone che vivono le stesse difficoltà, provano lo stesso dolore e assistono agli stessi orrori di coloro che cercano di aiutare. Non c’è modo di separare il loro lavoro dalla loro vita personale, perché il loro lavoro è la loro vita”.
Il dottore conclude: “La resilienza della gente di Gaza, nonostante gli orrori inimmaginabili della guerra, mi ha ispirato profondamente. Si rifiutano di perdere la voglia di vivere, aggrappandosi a un amore per la vita che sfida ogni cosa. Vedere questo spirito incrollabile, soprattutto nei bambini, mi spinge a stare al loro fianco. Sogno la fine di questa guerra e che i responsabili dell’uccisione e dello sfollamento di bambini e famiglie siano chiamati a risponderne. Sogno che qualcuno, da qualche parte, si impegni a porre fine a questa guerra e a restituirci le nostre vite”.