Assunta: mons. Gambelli (Firenze), “chi si fa piccolo e umile come Maria diventa capace di guardare la storia con gli occhi di Dio”

“Chi si fa piccolo e umile come Maria, lasciandosi trasformare dalla grazia, diventa capace di guardare la storia con gli occhi di Dio, di vedere la forza che si manifesta nella debolezza. La bella tradizione della Chiesa che ci invita a pregare la sera, nella liturgia delle ore, con le parole del Magnificat di Maria ci educa progressivamente alla virtù della speranza, imparando da lei ad annunciare il futuro della salvezza con i verbi al passato”. Lo ha affermato ieri mons. Gherardo Gambelli, arcivescovo di Firenze, nella celebrazione eucaristica che ha presieduto in cattedrale per la solennità dell’Assunta.
Nell’omelia, il presule si è soffermato “su tre immagini che ci vengono offerte dalla liturgia della Parola”. “La prima – ha spiegato – è quella dell’arca dell’alleanza, di cui ci parla il libro dell’Apocalisse”: “Maria è (…) l’arca di quella nuova alleanza, preannunciata dai profeti, e che si compie con la venuta di Gesù”. “Maria, arca della nuova alleanza, desidera visitare oggi anche ognuno di noi”, ha sottolineato l’arcivescovo: “Lei che ha molto aiutato Gesù a crescere, ora aiuta noi a far crescere Gesù nella nostra vita, suscitando in noi l’entusiasmo della fede”.
La seconda immagine commentata da mons. Gambelli è quella di “Maria come madre”. “Così – ha osservato – viene salutata da Elisabetta, riempita di Spirito Santo”. “Maria è madre di Gesù perché prima di tutto è stata sua discepola (‘figlia del suo figlio’), ascoltando la parola di Dio e mettendola in pratica”, ha proseguito. “La donna incinta che grida per le doglie e il travaglio del parto, di cui ci parla oggi il libro dell’Apocalisse, si riferisce più alla Chiesa che a Maria”, ha spiegato: “Il bambino partorito rappresenta il bene che la comunità cristiana riesce ad esprimere. Esso avrà sempre l’apparenza di essere una realtà del tutto sproporzionata rispetto ai bisogni del mondo. Tuttavia, quell’enorme drago rosso con sette teste e dieci corna, simbolo del male pronto a divorarlo, si rivela in verità impotente perché Dio rapisce il bambino verso di lui e verso il suo trono”. Poi l’arcivescovo ha richiamato una “bella frase” del Concilio Vaticano II: “Coloro, pertanto, che credono alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani”. “Vorrei esprimere, in tal senso, la mia vicinanza e il mio ringraziamento a tutti quei gruppi che nelle parrocchie, nei vicariati e in diocesi si impegnano con coraggio e perseveranza a pregare per la pace”, il tributo di mons. Gambelli. Infine, la terza immagine: “quella delle primizie, di cui ci parla la seconda lettura, a proposito della risurrezione di Gesù”. Nel ricordare che “Maria, associata alla gloria del suo Figlio, è anche lei una primizia”, l’arcivescovo ha evidenziato che “questa immagine allude ai primi frutti del raccolto che preannunciano il tempo finale della messe. La speranza va coniugata con l’attenzione ai germogli che devono essere protetti e custoditi con sapienza e creatività. Il rischio infatti è quello di cadere in facili ottimismi senza discernimento”. “Preghiamo – ha concluso – perché sappiamo sempre più metterci nelle mani salde e fedeli del Signore nostro Gesù Cristo affinché possa modellarci. Abbandonando la paura che questa sua presenza possa entrare in noi per mutilarci o indebolirci, potremo allora permettergli di darci la vita in pienezza e di renderci un giorno partecipi della sua gloria eterna, insieme a Maria sua madre e nostra madre”.

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