Una popolazione affamata dalla crisi economica, accesso alle cure difficile, una situazione di sicurezza ancora instabile, come testimonia l’esplosione avvenuta ieri, domenica 11 agosto, a Kabul a seguito della quale Emergency ha ricevuto 8 feriti nel suo ospedale della capitale. Sono passati tre anni da quando il 15 agosto 2021 le forze internazionali hanno lasciato l’Afghanistan e il Paese è tornato sotto il controllo del governo talebano. “E mentre sembra che la comunità internazionale e i media siano disinteressati a questa crisi”, Emergency continua a lavorare nel Paese. In questi tre anni, dall’osservatorio dei suoi tre ospedali e dei suoi 40 posti di primo soccorso e cliniche sparsi sul territorio, Emergency ha visto l’Afghanistan sprofondare in una crisi economica che ha portato 23,7 milioni di persone ad avere bisogno di assistenza umanitaria. Tra queste, 12,4 milioni sono in condizioni di insicurezza alimentare e quasi la metà della popolazione – circa il 48% – vive al di sotto della soglia di povertà. “L’Afghanistan ha bisogno di progetti sostenibili e che rispondano ai bisogni della popolazione”, commenta Dejan Panic, direttore programma di Emergency in Afghanistan. “Nei primi sei mesi dell’anno circa il 70% dei pazienti operati nel nostro ospedale nella capitale sono considerati feriti di guerra – prosegue –. Consideriamo tali i pazienti che riportano ferite da arma da taglio, da fuoco, schegge e mine. Dispute familiari, criminalità diffusa, attentati con esplosioni e sparatorie le cause maggiori. L’ultima esplosione quella di ieri, 11 agosto, nel quartiere Dasht e Barchi, dalla quale abbiamo ricevuto 8 feriti, 7 di loro ammessi in sala operatoria; uno in gravi condizioni”.
Nel corso del 2024 cinque dei FAPs (First Aid Posts) di Emergency sono stati convertiti in centri di salute primaria dove medici e infermieri rispondono alle necessità sanitarie di base della popolazione oltre a continuare a offrire un servizio riferimento agli ospedali della ong. “Si tratta di un servizio fondamentale, soprattutto in aree remote come in Helmand, dove i villaggi sono distanti dalle città – spiega il coordinatore –. Raggiungere un ospedale può essere molto complicato. Il 70% della popolazione afgana vive in aree rurali e anche quando si raggiungono gli ospedali locali non ci sono medici e medicinali disponibili, quindi finiscono per rivolgersi al privato. Offrire loro i servizi di cui hanno bisogno gratuitamente fa sì che non debbano recarsi in ospedali inadeguati o indebitarsi per pagare le cure”. Per poter offrire questo nuovo servizio è stato necessario formare il personale anche da un punto di vista tecnologico.
La popolazione è afflitta dall’insicurezza alimentare, causata dalla crisi economica e dagli effetti del cambiamento climatico come siccità, tempeste di grandine, alluvioni e terremoti sempre più frequenti che distruggono i raccolti di chi (la maggioranza) vive di agricoltura. Le fasce più vulnerabili restano donne e bambini. “Le persone non hanno soldi per pagarsi il cibo, spesso il loro unico pasto completo è in ospedale quando vengono ricoverati – spiega Keren Picucci, ginecologa del Centro di maternità di Emergency ad Anabah –. Le mamme sono spesso malnutrite, come possono sfamare i loro bambini? Le persone viaggiano fino a 4 ore per essere visitate da noi; le donne vengono a partorire da zone remote”. Nei primi sei mesi del 2024 sono state oltre 67mila le visite ambulatoriali effettuate nei centri chirurgici di Emergency a Kabul, Lashkar-gah e Anabah; oltre 7mila le operazioni chirurgiche. Nel Centro di maternità di Anabah (Panshir) sono nati oltre 3.500 bambini. Attualmente sono trentasei gli specializzandi che frequentano i residency program di Emergency nel Paese, corsi di specializzazione post laurea riconosciuti dal ministero della Salute e afferenti alle specialistiche di chirurgia e traumatologia, ginecologia e ostetricia, pediatria, anestesia.