Alla tavola rotonda “Chiese in dialogo per la salvaguardia del creato”, durante la sessione di formazione del Sae-Segretariato attività ecumeniche, in corso al Monastero di Camaldoli, è intervenuto mons. Domenico Pompili, vescovo di Verona e presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali della Cei, che ha evidenziato come la Laudato si’ si ponga nella scia della Dottrina sociale della Chiesa cattolica che vede come fari la Populorum Progressio, la Sollicitudo rei socialis e la Caritas in veritate. La Laudato si’, testo dirompente dedicato all’ecologia integrale, precisa il fatto che “una nuova ecologia umana ha bisogno di contemplazione e non solo di tecnologia. Economia ed ecologia, due ambiti discorsivi ormai tecnicizzati, sono riportati alla loro radice antropologica e teologica: la ‘casa comune’ di tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non credenti. Solo a condizione di essere capaci di fermarci a guardare ed ascoltare o, meglio, a contemplare, oltre le nostre sempre più potenti capacità di fare e di agire, possiamo riconoscere le contraddizioni alle quali ci troviamo esposti”.
Per effettuare il cambio di passo di cui c’è bisogno occorre “ricomporre su basi nuove la possibilità di espressione dell’io con la cura del contesto circostante; l’organizzazione dei sistemi tecno-economici con le esigenze dell’ecosistema; le nostre certezze scientifiche con lo spazio del mistero”.
Per definire l’autentico sviluppo umano, a partire dalla proposta di Papa Francesco, il vescovo ha delineato tre tratti di un’ipotesi di lavoro: il principio per cui “tutto è connesso” che è stato contrastato nella modernità dalla separazione tra “Zoè” e “Biòs”, la vita comune a tutti gli esseri viventi e la maniera di vivere di un singolo o gruppo. “La conferma sul piano concreto di tale separazione che compromette l’originaria forma di interconnessione – ha osservato mons. Pompili – è data da una serie di fenomeni che sono sotto gli occhi di tutti: la separazione tra economia e società, la separazione tra economia e lavoro, la separazione tra economia e democrazia”. Rispetto al primo, “non vi è dubbio che negli ultimi trent’anni i dati della diseguaglianza sociale interstatale e intra-statale abbiano registrato aumenti scandalosi. La ricchezza è aumentata obiettivamente in senso assoluto, ma la sua distribuzione non ha avuto effetti riequilibranti”. Rispetto al secondo “il fenomeno della finanziarizzazione crescente ha prodotto una distorsione di fondo: non è più il lavoro che crea la ricchezza, ma questa si autoriproduce in forme sempre più virtuali che riducono la variabile umana ad un costo emergente, da ridurre sempre di più con drastici aggiustamenti strutturali”. Rispetto al terzo, “a separazione tra economia e democrazia per effetto di una verticalizzazione dei rapporti in nome di una tecnica sempre più raffinata ed auto centrata. Di fatto la globalizzazione dei mercati per effetto di internet ha largamente annullato il potere di controllo degli Stati che sono di fatto messi all’angolo e ridotti ad una funzione notarile che prende atto di ciò che altrove viene gestito e ancor prima deciso”.
Il secondo tratto dell’ipotesi di lavoro, comune alle altre confessioni, è che la crisi ecologica, oltre che materiale, è etica e spirituale “perché alla morte dei boschi attorno a noi fanno da pendant le nevrosi psichiche e spirituali dentro di noi, all’inquinamento delle acque corrisponde l’atteggiamento nichilistico nei confronti della vita. Più che nelle radici ebraico cristiane, il mito del progresso va ricercato nella nuova religione della modernità, ovvero nell’idea che l’uomo moderno si è fatta di Dio. In particolare, la scarsa attenzione al tema della creazione. Se si fosse tenuto al centro questo dato si sarebbe stati più sensibili alla questione della natura e del suo impellente dovere di custodia e di salvaguardia”.