(Trieste) “Nessuna Chiesa, nessun popolo, nessun potere può pretendere di avere da solo l’ultima parola sulla verità”. Lo ha detto Isabella Guanzini, ordinario di teologia fondamentale all’Università di Graz, introducendo con la sua riflessione biblica la terza giornata della Settimana sociale dei cattolici in Italia, in corso al Trieste sul tema: “Al cuore della democrazia”. “Chi non riconosce l’alterità e riconduce tutto all’omogeneo non riconosce l’altro quando si presenta in forme inedite, che sconfinano”, ha affermato la relatrice soffermandosi sulla figura di Mosé e dei 70 anziani che lo affiancano durante esodo dall’Egitto, ma anche dei due personaggi “fuori lista” che profetizzano, introducendo così un “elemento anarchico” all’interno della democratica: “la possibilità di un dialogo nuovo tra il carisma e l’istituzione, una dialettica che non va risolta ma coltivata nello Spirito che interviene”. “Fare democrazia è essere disponibili a restare aperti alle incursioni del nuovo”, ha spiegato la teologa: “non c’è democrazia senza lutto per l’omogeneo, che vuole un linguaggio, un popolo, una lingua. Per stare insieme dobbiamo condividere la perdita di padronanza: non c’è democrazia senza l’altro. Solo così si può generare un ethos come fraternità condivisa, come amicizia sociale in una casa comune poliedrica in cui si confligge senza distruggere”, come ci insegna Papa Francesco. “Nel cuore della democrazia – ha osservato Guanzini – batte una fiducia di base in una parola dello Spirito che può anche venire da altrove, e che esige la volontà di rinunciare a qualcosa per il bene del popolo”. “Nella democrazia – ha proseguito – batte un cuore che non è solo di governo, ma è l’effetto del desiderio di una forma di presenza nello spazio pubblico, di ripresa della parola in uno spazio in cui si sa di essere ascoltati e rispettati”. Di qui la necessità della “parresia”, che è il “diritto-dovere di dire la verità a tutti i costi, legato al coraggio di fronte al pericolo, al coraggio di dire la verità nel gioco tra la vita e la morte”. “Senza conflitto, senza antagonismo non si apre uno spazio democratico e la profezia diventa demagogia”, il monito, unito al dovere di “dare voce e fiducia a chi non ci si aspetta, a chi si presenta in forme non prevedibili che fanno saltare i ruoli stabilità. La profezia è eccentrica, non conformista, poliedrica, capace di disattivare le ideologie e di proclamare parole di pace e di riconciliazione”.