Settimana sociale: Nicoletti (Un. Trento), le ragioni “per amare la democrazia”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

(Trieste) “Perché amare la democrazia?” Michele Nicoletti ha proseguito la sua relazione alla Settimana sociale di Trieste provando a rispondere a questa domanda. “Se la democrazia fosse solo una forma di governo tra le altre, una procedura o una tecnica, sarebbe difficile dire che la dobbiamo amare. Se usiamo questa parola impegnativa è perché essa porta con sé l’idea di una forma di vita. È l’idea dell’autogoverno. L’idea della libertà intesa come il non essere schiavi. Il non essere cose di proprietà di altri. Ma persone aventi una dignità. E questa dignità è data dal fatto che in ciascuna persona non vi è solo una realtà di cui avere cura, perché unica e insostituibile, ma vi è una soggettività, cioè una capacità di essere soggetto, di guidare la propria vita, di affermare non solo se stesso, ma tutto l’essere”. Nicoletti ha dunque osservato: “Per questo la democrazia non si misura in primo luogo sull’efficienza. Ci sono altri regimi che possono essere, in determinate situazioni più produttivi dal punto di vista economico e magari anche più capaci di fornire servizi e assistenza. Ma la democrazia è quella forma del vivere assieme di persone che si vogliono libere e che vogliono essere protagoniste nel determinare le scelte fondamentali della loro esistenza e il destino delle loro comunità”. “Quanto c’è qui dell’orgoglio greco della libertà? Ma quanto c’è qui della libertà cristiana! Di quella consapevolezza che le scelte fondamentali della nostra esistenza possono essere prese solo nella libertà. Dio stesso, creatore della libertà umana, ne ha un sacro rispetto. Decide di far passare la salvezza dell’umanità dal ‘sì’ libero di Maria. Pensate politicamente alla potenza di questa scena: il Signore degli eserciti che si premura di raccogliere il sì di una donna per fare il bene dell’umanità. E ogni società umana che viene istituita – a partire dalla famiglia fondata sul matrimonio – richiede il rispetto della libertà”.
Per questo una democrazia “illiberale” – ha osservato il filoso della politica – “semplicemente non è una democrazia perché nega la sua scaturigine. Se volete averne una chiara illustrazione leggete la voce ‘Fascismo’ della Enciclopedia Treccani scritta da Gentile e firmata da Mussolini in cui negando la libertà della persona si finisce per negare la sua dignità infinita e si afferma che tutto il suo valore risiede nello Stato. Perché questa libertà possa produrre un’esistenza libera dev’essere non solo proclamata ma praticata. Voluta. Esercitata. In modo serio e responsabile”.
“Ma c’è una seconda ragione per cui amare la democrazia. Perché essa ambisce a riconoscere questa libertà a ogni essere umano e non solo ad alcuni e produce così non solo degli esseri che vogliono vivere da soggetti liberi e sovrani ma anche delle relazioni umane e sociali tra esseri che sono liberi ed uguali. Ci fa sperimentare non solo il gusto della mia libertà, ma il gusto della libertà dell’altro. E questa è la cosa più dura. Guai a non capire questa difficoltà e la necessità di una pratica educativa al rispetto della libertà dell’altro, a una vera e propria ascesi”. La democrazia “che noi oggi abbiamo è lo sforzo di secoli di lotte per la democratizzazione. Per secoli era considerato naturale che ci fossero schiavi. Era considerato naturale che le donne fossero in posizioni subordinate. Che i poveri avessero meno diritti. E così via. Non è un processo spontaneo il far sì che in una comunità dove ci sono patrimoni diversi, lavori diversi, intelligenze diverse, ognuno abbia un uguale potere di determinare con il proprio voto la vita della comunità. È il frutto di una scelta e di una scelta complessa e impegnativa. È il frutto di innumerevoli lotte e sacrifici. Va rifatta. Dobbiamo rispiegare a noi stessi e a chi ci sta intorno l’uguale dignità di ciascuno. Il suo essere soggetto e non solo oggetto. La necessità di rispettare la libertà dell’altro. E di sperimentare, e qui sta l’elemento nuovo, che dentro questo amore per la libertà dell’altro, dentro questo desiderio di costruire una convivenza tra pari si apre una forma di vita più ricca della vita della dominazione in cui uso l’altro come un oggetto per il soddisfacimento dei miei bisogni o piaceri. È di nuovo l’amore a indicarci la strada”. Quindi, una osservazione ulteriore: “Questa forma di convivenza tra liberi e uguali è possibile solo grazie a un uso della parola e della ragione. È la parola che stabilisce tra noi una forma di comunicazione più profonda ed è la ragione che ci consente di far emergere non la mia volontà sulla tua, ma una nostra, tutta da costruire, volontà comune. Per questo la crisi della parola e la crisi della ragione sono crisi della democrazia e noi dobbiamo batterci per restituire alla parola e alla ragione il loro posto”.

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