(Trieste) Non saremo mai “Fratelli tutti” fino a che “ogni Stato e ogni popolo che è abituato a riconoscersi in una sola storia non farà posto a più storie. Lo vediamo per Palestina e Israele che non riescono ad ascoltare vicendevolmente i propri racconti storici”, ma vale anche per “la nostra storia”. “L’Italia è anche il racconto che gli altri fanno di noi, dai grandi del G7 ai ‘poveracci’ che vorrebbero venire sul nostro territorio o abitarlo umanamente”. Lo ha affermato questa mattina Annalisa Caputo, docente all’Università degli studi di Bari, nella sua relazione “In prima persona: abitare e costruire la casa comune della democrazia” pronunciata nella prima assemblea plenaria della 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia, ospitata al GCC – Generali Convention Center di Trieste.
La riflessione della docente, che si è sviluppata seguendo il pensiero del filosofo francese Paul Ricœur, ha cercato di spiegare la “tensione del desiderio” nel voler costruire “una vita felice con e per gli altri, all’interno di istituzioni giuste e per istituzioni sempre più democratiche”. “Ma io sono felice, capace di non danneggiare me stesso?”, ha chiesto Caputo, ammonendo: “Se non ne sono capace per me come potrò esserlo per gli altri?”. Perché, ha proseguito, “non posso essere felice da sola, sono chiamata ad esserlo con e per gli altri”. Parlando dei “terzi con cui viviamo relazioni istituzionali”, la docente si è chiesta “come posso essere felice se abito in un quartiere invaso dai rifiuti, se in Italia abbiamo il 20% di disoccupazione giovanile e tre volte di più al Sud, se una persona su 10 vive la povertà assoluta, se l’astensionismo alle elezioni cresce?”. In questo contesto – ha commentato – “noi non possiamo essere felici”. Serve quindi “cura di sé, degli altri, delle istituzioni perché siano sempre più giuste e democratiche”.