Gaza: Save the children, gli attacchi alle “zone umanitarie” paralizzano gli aiuti. Camion bloccati ai valichi per settimane

L’intensificarsi degli attacchi aerei israeliani nelle aree di Gaza in cui le organizzazioni umanitarie forniscono servizi, comprese le “zone umanitarie” designate da Israele, nonché la chiusura e il mal funzionamento delle frontiere hanno drasticamente ostacolato la capacità di consegnare forniture salvavita, avvertono 20 agenzie umanitarie in un rapporto sull’accesso umanitario pubblicato ieri. A quasi 300 giorni dall’inizio della guerra a Gaza, i civili sono costantemente sottoposti a ordini di trasferimento da aree precedentemente ritenute sicure, con un tempo insufficiente per l’evacuazione. Il recente intensificarsi dei bombardamenti aerei nella zona centrale di Gaza, dove ai civili che prima si rifugiavano a Rafah è stato detto di spostarsi, è stato particolarmente letale.
Più di 190.000 palestinesi sono stati sfollati in quattro giorni a Deir Al Balah e Khan Younis, il sito dell’ultima offensiva israeliana, mentre il bilancio delle vittime al 23 luglio, secondo il Ministero della Sanità di Gaza, a Khan Younis è salito a 73 morti e 270 feriti. Le Nazioni Unite hanno dichiarato che oltre l’80% di Gaza è stato sottoposto a ordini di evacuazione o designato come “no-go zone” dalle forze israeliane, confinando 1,9 milioni di sfollati interni in circa il 17% della striscia.
Nel frattempo, i valichi di frontiera chiusi e malfunzionanti e gli attacchi alle agenzie umanitarie continuano a ostacolare gli sforzi umanitari. Due membri dello staff palestinese di una Ong partner di War Child sono stati uccisi il 13 luglio, mentre un altro membro dello staff è stato ferito e tutti e quattro i suoi figli sono stati uccisi in un attacco aereo a Nuseirat. Anche la casa di un membro dello staff di ActionAid è stata bombardata, uccidendo le sue quattro figlie, lasciando il collega in condizioni critiche.
Molte organizzazioni hanno rifornimenti pronti e in attesa di entrare, ma la zona di scarico al valico di frontiera di Kerem Shalom/Karam Abu Salem, sul lato di Gaza, è bloccata da settimane a causa dell’elevata insicurezza, delle operazioni militari israeliane e del rischio di saccheggi, dato l’aumento dei bisogni delle famiglie.
Save the children è riuscita a far entrare a Gaza quattro camion (80 pallet) di forniture mediche su un convoglio, dopo aver aspettato al valico di Kerem Shalom al caldo per oltre un mese, a seguito delle ostilità sul lato di Gaza del confine. I pallet comprendevano farmaci standard come antibiotici e farmaci per le malattie cardiache. Tuttavia, lo staff di Save the children non è riuscito a far arrivare tempestivamente a Gaza le forniture mediche essenziali, mentre le forniture delle agenzie delle Nazioni Unite, su cui contano le strutture sanitarie, sono in via di esaurimento.
Altri 17 pallet di medicinali, di Save the children, sono bloccati ad Al-Areesh, in Egitto. Si tratta di farmaci a temperatura controllata, tra cui quattro scatole che richiedono una refrigerazione continua. Il Coordinamento delle attività governative nei Territori (Cogat) di Israele autorizza, infatti, solo i camion a pianale, non i camion chiusi necessari per il trasporto di tali forniture, e conseguentemente le spedizioni di Save the children continuano ad essere respinte.
Altre agenzie umanitarie hanno confermato di dover affrontare sfide simili. Oxfam ha serbatoi d’acqua, unità di desalinizzazione, rubinetti, generatori e latrine approvati ma non è in grado di entrare attraverso il valico, mentre 864 tende procurate dal Consiglio norvegese per i rifugiati, che si trovavano al porto di Al-Arish, sono arrivate di recente a Kerem Shalom, ma rimangono ancora inaccessibili a causa di problemi di sicurezza.
Le Nazioni Unite hanno dichiarato che il volume medio giornaliero dei carichi di aiuti umanitari che entrano a Gaza è diminuito del 56% da aprile, mentre la decimazione del sistema sanitario e i continui ordini di trasferimento stanno causando un grave sovraffollamento con la conseguente necessità di dover distribuire a più persone risorse già limitate, aumentando esponenzialmente il rischio di malattie infettive e trasmesse dall’acqua, come la polio.

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