Amnesty International ha pubblicato oggi un nuovo rapporto in cui chiede alla Grecia di abrogare urgentemente le norme di legge che stanno causando la sistematica e illegale privazione della libertà delle persone richiedenti asilo trattenute nel “Centro chiuso ad accesso controllato” finanziato dall’Unione europea sull’isola di Samos. Amnesty ha anche esortato l’Unione europea a ritenere la Grecia responsabile delle violazioni dei diritti umani in quella struttura e a garantire che quel modello non diventi un esempio per il Patto su migrazione e asilo recentemente adottato. Il rapporto, intitolato “Samos: ‘Ci sentiamo in prigione sull’isola’. Detenzione illegale e condizioni inferiori agli standard in un centro per rifugiati finanziato dall’Unione europea”, rivela l’uso indiscriminato degli ordini di “restrizione della libertà” che costringono le persone a subire una forma di detenzione illegale e arbitraria.
“La Grecia è da tempo un banco di prova per le politiche migratorie dell’Unione europea basate sull’esclusione delle persone razzializzate e in movimento ai confini della regione. Ciò che avviene a Samos dimostra che questo modello è punitivo, dispendioso e incentrato sulla violenza. Con il pretesto di registrare e identificare le persone, le autorità greche stanno di fatto trattenendo tutte le persone al loro arrivo, comprese quelle che si trovano in situazioni di vulnerabilità, violando i loro diritti. Tutto ciò sta accadendo in un centro finanziato dall’Unione europea, che dunque dovrebbe essere conforme agli standard europei”, ha affermato Deprose Muchena, direttore della divisione Impatto sui diritti umani di Amnesty international.
L’organizzazione per i diritti umani riferisce che dopo alcuni incendi nel 2020 nel campo profughi di Moria, sull’isola greca di Lesbo, la Commissione europea ha fornito 276 milioni di euro di fondi per nuovi centri “multiuso”, promettendo “condizioni migliori”. Era previsto che i siti includessero strutture di accoglienza e detenzione pre-rimpatrio. Il centro di Samos è stato il primo ad essere inaugurato, nel 2021. Nell’ottobre del 2023, a causa dell’aumento degli arrivi tra giugno 2023 e gennaio 2024, il centro era sovraffollato, con un picco di 4.850 persone, a fronte di una capienza massima di 2.040. Le persone sono state trasferite in aree non residenziali come cucine, aule e container, in condizioni inadeguate. Nel settembre 2023 le autorità hanno aumentato la capienza a 3.650 posti, senza alcun intervento per incrementare il numero degli alloggi. L’aumento degli arrivi ha aggravato problemi già preesistenti sull’offerta dei servizi primari, tra cui carenze d’acqua e l’assenza di assistenza sanitaria 24h. “La continuità dell’assistenza medica nel campo è incerta, poiché i contratti degli operatori sanitari attualmente in servizio sono scaduti il 30 giugno – informa Amnesty -. L’avvio del nuovo progetto Ippocrate, finanziato dall’Unione europea e gestito dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, è ancora in sospeso. La prolungata e continua incertezza riguardo la fornitura di servizi sanitari adeguati solleva serie preoccupazioni sulla capacità della Grecia di garantire un accesso equo ai servizi medici per le persone richiedenti asilo”.
“L’Unione europea aveva promesso che questi centri sarebbero stati conformi agli ‘standard europei’. Invece, la realtà ha rivelato un incubo distopico: un campo altamente sorvegliato, privo dei servizi più basilari. Telecamere di sicurezza e filo spinato circondano il centro, che è diventato così simile a una prigione. Le persone non hanno abbastanza acqua o cure mediche adeguate e, in alcuni casi, nemmeno letti. Tutto questo mentre sono impossibilitate a lasciare il centro per settimane, a volte mesi”, ha aggiunto Deprose Muchena.