L’Unicef ha inviato nei giorni scorsi un appello alla presidente della Commissione Giustizia del Senato, Giulia Bongiorno e a tutti i capigruppo in Senato per richiamare l’attenzione dei parlamentari – impegnati a discutere il “Decreto carceri” – sui diritti dei bambini figli di madri detenute. I partiti di opposizione avevano presentato una serie di emendamenti al provvedimento in esame, per finanziare le Case famiglie protette, una misura alternativa al carcere istituita con la Legge n. 62 del 2011, proprio con la finalità di salvaguardare l’integrità psicofisica dei bambini e delle bambine e bilanciare le esigenze educative con quelle cautelari. L’Unicef ha sottolineato la necessità di trovare un accordo bipartisan per individuare una soluzione adeguata per tutte le bambine e i bambini che si trovano in questa situazione, misura necessaria, da tempo sostenuta dall’Unicef, per rendere concreta la tutela dei loro diritti che, come ricorda la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 1991, deve essere realizzata senza alcuna discriminazione. Le forze di opposizione hanno tuttavia deciso di abbandonare il tavolo, lamentando una reale mancanza di confronto, determinando di fatto la decadenza delle proposte emendative presentate.
“Nel corso degli anni, il legislatore ha affrontato ripetutamente il tema delle madri detenute, con l’obiettivo costante di consentire un miglioramento delle condizioni di accesso ai diritti dei bambini figli di genitori detenuti”- dichiara Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia: “Con il mancato accordo si è vanificata l’opportunità di compiere un passo avanti necessario per la tutela dei bambini al seguito delle madri detenute. Una conquista di civiltà doverosa che deve richiamare tutti ad un senso di responsabilità, al di sopra di ogni ideologia o diversa posizione politica. Mentre noi dibattiamo sulla opportunità di adottare misure extra-detentive, ci sono bambini che imparano le parole d’ordine del carcere, apri e chiudi, compromessi nel più naturale sviluppo delle proprie facoltà per colpe che non gli appartengono”.