No a ridurre “il ruolo del medico” a “mero esecutore di una volontà espressa in nome del cosiddetto principio di autodeterminazione, diventando così un semplice esecutore di tecniche, o di omissione di tecniche laddove venga rifiutato un trattamento”. Lo afferma senza mezzi termini in un’intervista al Sir il medico palliativista Massimo Damini, responsabile dell’Hospice della Casa di cura San Camillo di Cremona, gestito dai Camilliani, e direttore sanitario del Centro cure palliative-Hospice delle Piccole figlie di Parma. “Il tutto – spiega – va calato all’interno di un contesto. O affronto le questioni in modo tecnicamente freddo, oppure – e questo fa la differenza – le affronto in un quadro di cure palliative, ossia all’interno di un rapporto di relazione e di comunicazione che si costruisce nel tempo conquistando la fiducia e l’affidarsi del malato”. “Quante volte – racconta – mi sento dire da un paziente che non vuole l’inserimento del catetere vescicale! Spiegandogli però i benefici dell’inserimento contro i rischi del non metterlo, il paziente si fida e alla fine accetta. Esistono un’autonomia nelle scelte del medico, una dignità professionale e uno spazio che vanno tutelati”. “Non siamo macchine da guerra che tormentano i pazienti con tutti gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia, come qualcuno tenta di descriverci – assicura Damini –; semplicemente non possiamo abdicare al nostro ruolo di interlocutori sulla base di conoscenze che noi abbiamo, a differenza dei familiari che talvolta tentano di far valere false informazioni veicolate da Internet”.