Brasile: Onu chiede sospensione della legge che pone le popolazioni indigene a rischio di espulsione dalle loro terre

Il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, José Francisco Calí Tzay, ha chiesto al Brasile la sospensione della legge 14.701/2023, che mette le popolazioni indigene a rischio di sfratto o espulsione dalle loro terre tradizionali. Nella sua dichiarazione, Calí Tzay si è congratulato con la Corte Suprema per aver respinto la legge del cosiddetto “Marco temporal” nel settembre 2023, ma ha espresso preoccupazione per la rapida approvazione della Legge 14.701/2023 da parte del Congresso, nel dicembre scorso.
Il relatore ha spiegato che la legge attua, in realtà, la logica del “Marco temporal”, che condiziona la demarcazione dei territori indigeni all’occupazione delle terre rivendicate al momento dell’approvazione della Costituzione brasiliana nel 1988. Calí Tzay ha sottolineato che la sua accettazione da parte del tribunale brasiliano avrebbe violato gli standard internazionali sui diritti umani, che riconoscono i diritti dei popoli indigeni alle loro terre e ai loro territori sulla base dell’uso e del possesso tradizionale senza limitazioni temporali.
La legge 14.701/2023 è stata impugnata da cinque ricorsi davanti alla Corte Suprema, che ha sospeso il giudizio su tali procedimenti nell’aprile 2024 e ha suggerito un processo di mediazione tra gli interessi delle popolazioni indigene e l’agrobusiness.
Tuttavia, il relatore delle Nazioni Unite ha avvertito che la sospensione delle cause non impedisce l’applicazione della legge, che può causare “danni irreparabili”. Calí Tzay ha sottolineato che i diritti dei popoli indigeni sono protetti da standard internazionali, come la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni e la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
L’azione dell’Onu è stata invocata ed è seguita da vicino, a Ginevra, dai rappresentanti del Consiglio indigeno missionario, organismo affiliato alla Chiesa brasiliana. Secondo la dichiarazione rilasciata dal consigliere del Cimi Paulo Lugon Arantes alle Nazioni Unite, “i popoli indigeni isolati soffrono in modo sproporzionato gli effetti del cambiamento climatico e sono a rischio di atrocità commesse dalle imprese transnazionali che lavorano nell’industria estrattiva, in particolare idrocarburi e miniere”. Gli incendi e i cambiamenti ambientali colpiscono, in particolare, i territori abitati dai popoli isolati. Arantes ha osservato che “durante la pandemia del Covid-19, queste popolazioni sono state decimate o ridotte drasticamente sia per l’ignoranza delle loro peculiarità sia per la negligenza dolosa degli Stati”.

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