Dai dati analizzati nel Report del Forum Disuguaglianze e Diversità presentato oggi a Roma, emerge con chiarezza come in Italia la diffusione del part-time sembra più dovuta alle esigenze delle imprese di ridurre il costo del lavoro che a quelle dei lavoratori e delle lavoratrici. Il fenomeno si può correlare agli interventi normativi, che hanno favorito la flessibilizzazione del lavoro. Il documento riporta stralci di cinque interviste a donne occupate con un contratto part-time di tipo involontario, che hanno indagato la storia lavorativa delle donne, i motivi alla base della scelta del part-time (esigenze individuali e/o del datore di lavoro) e l’eventuale presenza di condizioni di uso o abuso dell’orario di lavoro e la percezione di una prospettiva lavorativa futura. Il lavoro part-time emerge come una gabbia senza la possibilità di conversione in un full-time. Di fronte a questo quadro sono tre le possibili aree di intervento individuate dal gruppo di lavoro del Report: contrattazione, disincentivi alle forme involontarie di part-time e aumento dei controlli. “Ormai è noto che sempre più lavoro è precario e mal retribuito, e non è sufficiente a uscire da una condizione di povertà. In questo quadro anche il part-time da strumento di conciliazione di vita e di lavoro, rischia di diventare uno strumento di ulteriore precarizzazione, soprattutto quando viene imposto e non è una scelta del lavoratore e in particolare della lavoratrice”, hanno commentato Fabrizio Barca e Andrea Morniroli, co-coordinatori del Forum Disuguaglianze e Diversità.