È di 16 morti e 30 feriti il bilancio del bombardamento del 3 maggio nei due campi profughi di Lac Vert e Mugunga, nei pressi della città di Goma, capoluogo del Nord Kivu, nella Repubblica democratica del Congo. A farne le spese sono stati soprattutto donne e bambini, secondo quanto riferito dal Southern African Devolopment Community, che ha una sua missione militare nell’area. Il governo di Kinshasa accusa l’M23 e le forze armate del vicino Ruanda, mentre il Coordinamento della società civile di Bukavu, nel vicino Sud Kivu, restituisce un quadro drammatico della situazione nella provincia adiacente: gli sfollati sarebbero circa 7 milioni e quotidianamente, si legge in un comunicato dello stesso Coordinamento, “le donne e le ragazze subiscono violenze sessuali nei campi per sfollati, il tasso di malnutrizione è in crescita nei bambini, donne incinte, madri allattanti. Quello che stupisce i comuni cittadini è il colpevole silenzio della comunità internazionale che è più preoccupata di quello che succede in Ucraina e nella Striscia di Gaza, come se la vita di un congolese non contasse”. Secondo il Coordinamento, l’obiettivo dell’M23 è quello “asfissiare la città di Goma, tagliando ogni forma di approvvigionamento in derrate alimentari che provengono dal Sud Kivu. Per questo anche le imbarcazioni sul lago Kivu sono fatte oggetto di bombardamenti”. L’organismo della società civile ricorda inoltre che prima della strage del 3 maggio c’erano state altre gravi violazioni del diritto umanitario. Il Coordinamento di Bukavu chiede al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di incaricare il procuratore della Corte penale internazionale di indagare sui crimini commessi contro i civili nell’area e di imporre un embargo sulla vendita di armi a Ruanda ed Uganda accusate di appoggiare l’M23; chiede infine alle organizzazioni umanitarie di venire in soccorso degli sfollati nel Nord Kivu.