“Non è facile vivere come insegna e testimonia don Milani; c’è un prezzo da pagare. Don Milani ne ha pagati molti di questi prezzi alla coerenza, molti anche a causa della sua Chiesa, che però non ha mai voluto rinnegare. Questo mi permette di star qui, consapevole dei torti che don Milani ha subito dalla Chiesa fiorentina, ma anche con la certezza che egli avrebbe salutato con gioia momenti come questo, in cui la Chiesa ne riconosce la capacità di essere stato fedele ai suoi tempi. Non mi piace dire che egli era più avanti rispetto alla Chiesa del tempo, perché la sua forza è stata quella di aver interpretato come nessuno il cambiamento sociale e religioso del suo tempo, perché questo e nient’altro ci è chiesto: fedeltà al nostro tempo per illuminarlo con una parola di verità e con responsabilità”. Lo ha affermato ieri il card. Giuseppe Betori, amministratore apostolico di Firenze, durante la cerimonia con la quale a Barbiana si sono concluse le celebrazioni per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani. Oltre al porporato sono intervenuti Rosy Bindi, presidente del Comitato nazionale del centenario, e Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale.
Parlando a braccio e rivolgendosi soprattutto ai giovani, il card. Betori ha ripreso quanto detto da Papa Francesco a Barbiana il 20 luglio 2017. La vita di don Milani – ha sottolineato – il Santo Padre l’ha sintetizzata “attorno a tre riferimenti: la scuola, per dare ai poveri la parola e quindi la dignità; l’appartenenza alla Chiesa, anche quando in questo legame si sperimenta l’incomprensione e la sofferenza; infine, la cura educativa verso i giovani”. E poi “libertà, responsabilità, confronto, compromettersi (‘I Care’), agire senza compromessi, insieme, bene comune, farsi carico degli altri, vero, bello e bene”. “Questo – ha ricordato il porporato – è il vocabolario che il Papa indica come la lezione che ci viene dalla vita di don Milani”. “Nel prendere atto di questa lezione – ha proseguito il card. Betori – va sottolineato che don Milani questi riferimenti valoriali non li ha mai enunciati come un programma per gli altri, ma li ha vissuti come fattori costitutivi della sua persona e della sua missione. Questo a cominciare dal noto motto ‘I Care’, che non stava e non sta scritto sulle pareti dell’aula in cui faceva scuola ai suoi ragazzi, come un insegnamento tra gli altri, ma sulla porta della propria camera, a dire cioè che egli viveva per loro e solo per questo poteva esigere che loro vivessero per gli altri, in un impegno sociale senza sconti”. Per il porporato, “è una lezione fondamentale per non ridurre anche le idee più belle a ideologie e gli insegnamenti più giusti a moralismo. Per non dire poi di quel mondo, assai diffuso purtroppo, in cui la parola responsabilità appare soffocata dall’anonimato e dal conformismo dei social”.