“La parrocchia è una casa, una famiglia dalle porte aperte, perché la fede non è un’ideologia, ma un’esperienza di comunione, la partecipazione e corresponsabilità”. Mons. Luis Marín De San Martín, sottosegretario della segreteria generale del Sinodo, spiega così il senso della parola sinodalità, sperimentata dai 200 parroci, provenienti da ogni parte del mondo, nell’incontro internazionale “Parroci per il Sinodo” svoltosi in questi giorni a Sacrofano, per iniziativa della stessa segreteria e dei Dicasteri per il Clero, per le Chiese Orientali e per l’Evangelizzazione.
Al centro dei lavori – conclusi oggi con l’incontro con il Papa, che ha consegnato una lettera a tutti i parroci del mondo – “c’è stato lo slancio missionario, l’esperienza dello Spirito Santo, la fraternità”, ha reso noto mons. Marín nell’incontro con i giornalisti in sala stampa vaticana. “Il Papa ci ha dato del lavoro”, ha commentato don Adelino Guarda, della diocesi di Lleira-Fatima: “Parliamo troppo di Gesù, sappiamo tanto di Gesù, ma alle volte la nostra vita non ne parla: senza missionarietà, invece, non c’è sinodalità”. “Il Papa è tornato sulla missione del parroco ”, ha detto don Francois Luyeye Lubolono, dell’arcidiocesi di Kinshasa, in Congo: “In parrocchia ci ha chiesto di andare avanti, in mezzo e dietro al popolo, per lasciarlo crescere”. A raccontare come si vive la sinodalità nella sua parrocchia è stato don Rafael Solano Duran, che vive in una diocesi a sud del Brasile. “I gruppi parrocchiali sono gruppi biblici”, ha spiegato: “Sono veramente un’espressione molto viva del volere essere insieme. Le persone vogliono conoscere la Bibbia, vogliono imparare a confrontarsi con la Parola del Signore”. Il secondo momento sinodale della parrocchia – “che per me è il più bello di tutti”, ha testimoniato il parroco – sono le domeniche: “In una regione molto difficile e con tanti problemi sociali, la parrocchia è uno spazio di condivisione. C’è chi porta il riccio, c’è chi porta il pane, c’è chi mangia in chiesa, chi fa festa… È un momento molto bello per riconoscere l’amicizia, ma soprattutto per riconoscersi insieme come membri dello stesso corpo di Cristo”.