“Le diverse fedi, se intese nella loro genuinità e nella loro vocazione profonda, sono portatrici di risorse di riconciliazione e di pacificazione e non rappresentano quasi mai la sola o la principale causa scatenante delle incomprensioni e dei conflitti, né costituiscono di per sé un fattore di rischio in questo senso. Ma se diventano funzionali alla lotta politica, come spesso accade in Terra Santa, le religioni diventano come benzina gettata sul fuoco”. È il monito lanciato oggi dal card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, nella sua lectio magistralis intitolata “Caratteri e criteri per una pastorale della pace” tenuta alla Pontificia Università Lateranense, a Roma, nell’ambito del corso di “Teologia della pace”. “Il dialogo interreligioso ha prodotto documenti molto belli sulla fraternità umana, sull’essere tutti figli di Dio, sulla necessità di lavorare insieme per il rispetto dei diritti della persona”, eppure, ha riconosciuto il porporato, “nell’attuale contesto di guerra, tutto questo in Terra Santa sembra oggi essere lettera morta”. Per Pizzaballa oggi “vi è un grande assente in questa guerra: la parola dei leader religiosi. Con poche eccezioni, non si sono sentite in questi mesi da parte della leadership religiosa discorsi, riflessioni, preghiere diverse da qualsiasi altro leader politico o sociale”. La conseguenza è che “rapporti di carattere interreligioso che sembravano consolidati sembrano oggi spazzati via da un pericoloso sentimento di sfiducia. Ciascuno si sente tradito dall’altro, non compreso, non difeso, non sostenuto. Questa guerra – ha rimarcato il card. Pizzaballa – è uno spartiacque nel dialogo interreligioso, che non potrà essere più come prima, almeno tra cristiani, musulmani ed ebrei”. “Il mondo ebraico – ha spiegato – non si è sentito sostenuto da parte dei cristiani e lo ha espresso in maniera chiara. I cristiani a loro volta, divisi come sempre su tutto, incapaci di una parola comune, si sono distinti se non divisi sul sostegno ad una parte o all’altra, oppure incerti e disorientati. I musulmani si sentono attaccati e ritenuti conniventi con gli eccidi commessi il 7 ottobre. Insomma, dopo anni di dialogo interreligioso, ci siamo ritrovati a non intenderci l’un l’altro”. Ma il dialogo non può fermarsi: “Partendo da questa esperienza, dovremo ripartire, coscienti che le religioni hanno un ruolo centrale anche nell’orientare e che il dialogo tra noi dovrà forse fare un passaggio importante e partire dalle attuali incomprensioni, dalle nostre differenze, dalle nostre ferite. Non potrà essere più un dialogo solo tra appartenenti alla cultura occidentale, come è stato fino ad oggi, ma dovrà tenere in conto le varie sensibilità, i vari approcci culturali non solo europei, ma innanzitutto locali. È molto più difficile, ma da lì si dovrà ripartire. E si dovrà farlo – ha concluso – non per bisogno o necessità, ma per amore”.