(da Grado) – “Parlare di confini per noi è un tema necessario. Sul nostro confine è stato sospeso il trattato di Schengen, sono stati ripristinati i controlli; è quindi un confine reale per i migranti che vengono dalla rotta balcanica a Trieste, Gorizia e Udine”. Lo ha ricordato mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas italiana, aprendo oggi a Grado (Go) il 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane sul tema “Confini, zone di contatto e non di separazione”. “Le tre lingue che qui parliamo indicano un confine linguistico e culturale che c’era anche quando non esisteva un confine fisico”, ha spiegato, elogiando la scelta di Gorizia e Nova Gorica, divise appunto dal confine italo-sloveno, entrambe come Capitale europea della cultura 2025. “Se non ci fossero i confini delle tre lingue (italiano, friulano e sloveno) saremmo tutti più poveri, privi di punti di vista diversi – ha sottolineato -. I confini sono anche positivi, perché garantiscono una diversità e un approccio complesso al mondo”. “Il confine è importante per la crescita stessa della persona – ha aggiunto più avanti -. Chi è genitore e nonno sa quanto della fragilità e dell’incertezza degli adolescenti derivi dalla mancanza di un confine educativo che noi adulti non siamo più capaci di proporre loro”. A livello ecclesiale, ha proseguito il presidente di Caritas italiana, “dobbiamo riconoscere che a volte ci sono confini tra uffici e servizi della curia con il rischio di una pastorale frammentata e iniziative non coordinate che piovono sulle parrocchie. Ci sono però tentativi interessanti di lavoro condiviso per un impegno reale di evangelizzazione e testimonianze”. Lo stesso nel rapporto tra Caritas diocesane e realtà parrocchiali. Ma il confine più arduo è “tra operatori e volontari Caritas e gli ultimi – ha affermato -. Un confine che c’è perché siamo in due situazioni diverse, chi aiuta e chi ha bisogno di aiuto. Ma è un confine che va superato”. Il suo suggerimento è “meditare su alcune pagine del Vangelo capovolgendo i ruoli” ossia “pensandoci noi come gli affamati, gli assetati, gli stranieri che abbiamo bisogno di aiuto”: “Mettersi dall’altra parte del confine della povertà e del bisogno può essere una buona idea per farlo diventare luogo di contatto”, ha concluso.