Ospite della 46ª Convocazione nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, svoltasi dal 26 al 28 aprile alla Fiera di Rimini, è stato anche il card. Angelo De Donatis, penitenziere maggiore. Nell’omelia, citando il versetto del Vangelo sulla vite e i tralci, il porporato ha ricordato che “per il mondo portare frutto è aumentare il benessere e la ricchezza, autodeterminarsi e, come si dice, essere se stessi, sempre e ad ogni costo. Invece la Chiesa porta frutto non quando promuove le sue strutture, bensì quando fa conoscere il Signore Gesù, richiamando alla conversione e alla santità”. E ancora: “Oggi ‘rimanere’ è la grande sfida: ci vuole più coraggio nel restare che nel partire. La tentazione di sottrarsi per veleggiare verso lidi più comodi, meno compromettenti e più alla moda, è forte, sia nei semplici fedeli, sia nei pastori. Il coraggio di restare fondati in Cristo è la vera profezia dello Spirito che oggi ci viene chiesta. Se non vogliamo una vita sterile dobbiamo riscoprire le radici della fede, rievangelizzarci, senza dare nulla per scontato. Tentati dagli slogan o dall’esperienzialismo è bello riscoprire i fondamenti oggettivi della fede rivelata, celebrata, testimoniata. Tre capisaldi ci radicano nel terreno della grazia: la Parola, la liturgia e il Catechismo della Chiesa Cattolica”. Infine, da parte del card. De Donatis un ulteriore richiamo al messaggio del Vangelo e “alla potatura di Cristo, il vignaiolo” che “conferma la verità della nostra sequela: dobbiamo preoccuparci seriamente quando non veniamo ‘sfrondati’ da Dio, perché significa che non percorriamo le vie di Gesù”. Da qui, gli “interrogativi” paternamente rivolti ai partecipanti del Movimento: “Sappiamo riconoscere le potature di Dio nel nostro Gruppo, nella parrocchia, nella comunità? Abbiamo imparato a leggere con la logica della Pasqua le apparenti perdite e sconfitte?”. “Nella Chiesa attuale – ha concluso il celebrante – mi sembra che il Signore stia potando alcuni rami secchi. Ne sottolineo tre: il ramo dei grandi numeri; il ramo della pesantezza delle strutture; il ramo del protagonismo attuale. Siamo chiamati – che lo vogliamo o no – a diventare piccoli, agili, e sinodali”. L’invito, dunque, è quello “non di rifugiarsi in un mondano ottimismo, bensì di coltivare i luoghi della speranza”.