Centinaia di nicaraguensi in esilio, migranti, esuli, si sono uniti alla richiesta di giustizia per oltre 355 persone uccise dalla dittatura sandinista, di libertà per i prigionieri politici, di libere elezioni e del ritorno della democrazia in Nicaragua, nella giornata di ieri, a sei anni dall’inizio delle proteste, poi represse dal regime (la data simbolo è quella del 18 aprile). Attualmente 138 oppositori e detenuti politici sono in carcere, tra cui un giornalista, due leader indigeni e un accademico, come ha denunciato il Meccanismo di riconoscimento dei prigionieri politici. Delle 138 persone riconosciute come prigionieri politici al momento, 23 sono donne e 115 uomini (tra cui dieci detenuti prima della crisi del 2018).
Nel frattempo, la Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) ha esortato gli Stati della regione e la comunità internazionale a promuovere il ritorno alla democrazia e al pieno stato di diritto in Nicaragua, nonché a compiere sforzi per porre fine alla repressione nel Paese ed evitare l’impunità per i “crimini internazionali” commessi dal 18 aprile 2018.
“La fine dell’impunità e il ritorno del sistema di democrazia rappresentativa è la migliore garanzia della validità dei diritti umani ed è la solida base per la solidarietà tra i Paesi del continente”, ha sostenuto la Cidh, aggiungendo che la risposta “repressiva e violenta” dello Stato in Nicaragua “ha provocato la morte di almeno 355 persone, più di 2.000 feriti e più di 2.000 persone detenute arbitrariamente”.