Sono passati più di due anni da quando, il 24 febbraio 2022, Putin ordinò l’invasione dell’Ucraina. “Il Cremlino, male informato dai suoi generali e dalle sue spie, pensava che impossessarsi di Kyïv e instaurarvi un governo amico sarebbe stata una passeggiata: in realtà non fu così”, osserva p. Giovanni Sale nel quaderno n. 4.172 de La Civiltà Cattolica in uscita sabato. Nella sua analisi, il gesuita ripercorre le tappe del conflitto definendo “eroica e collettiva” la resistenza opposta dall’esercito ucraino, “già da allora in parte armato dagli occidentali”. Dopo due anni di sanguinosi combattimenti e “alcune centinaia di migliaia di morti – annota Sale – Kyïv resiste ancora, con determinazione, all’aggressore russo, sebbene la Russia abbia un’economia 15 volte più grande dell’Ucraina e un numero di abitanti tre volte superiore”. Tuttavia l’esercito ucraino è oggi in una “situazione di stallo”. Per uscirne, afferma il gesuita, “dovrà passare da una guerra di posizione, che lo sta logorando, a una guerra di attacco, veloce e creativa, come è stata quella della prima parte dell’offensiva. Ma, per far questo, avrà bisogno di più soldati e, soprattutto, di più munizioni e di più armi sofisticate per colpire, a lunga distanza, dietro le linee nemiche; insomma, del convinto sostegno dell’Occidente, della Nato”, che in questo momento “per varie ragioni languisce”.
Lontana, secondo Sale, anche “la prospettiva di un vero negoziato per raggiungere una tregua o un congelamento del conflitto – che coinvolga le parti interessate e altri attori internazionali di primo piano, come gli Usa”. Di qui il richiamo alla recente intervista alla radiotelevisione svizzera di lingua italiana, nella quale Papa Francesco è ritornato a parlare della “necessità di un negoziato per arrivare, nelle situazioni di conflitto (in Ucraina come a Gaza), alla cessazione delle ostilità. Le sue parole, purtroppo, sono state – conclude il gesuita – da più parti fraintese”.