Intelligenza artificiale: Consolmagno, “se le macchine sviluppassero autocoscienza e libero arbitrio non sarebbero né migliori né peggiori di qualsiasi altra anima”

Anche se un giorno “le macchine dovessero raggiungere una certa autocoscienza, ci sarebbe davvero motivo di avere paura?”. A sollevare l’interrogativo è Guy J. Conslmagno, direttore della Specola Vaticana. Dalle colonne del quaderno n. 4.172 de La Civiltà Cattolica in uscita sabato, il gesuita spiega: “Piuttosto che imitare l’intelligenza umana, i sistemi di IA finiscono per svolgere il lavoro di manipolazione di dati che un essere umano troverebbe estremamente noioso”, ma i dati “non sono informazioni, non sono conoscenza, non sono saggezza”. I computer, dunque, hanno solo a che fare con i dati, e i bot di IA più in voga – come ChatGPT – “sembrano umani, perché nei risultati introducono imprecisioni ed errori tipici degli esseri umani. Quello che fanno non è altro che scompigliare – e confondere – i dati. Sembrano umani non grazie all’intelligenza artificiale, bensì grazie alla stupidità artificiale”, sostiene lo scienziato precisando che “ciò che si crea nei laboratori di IA, è una mappa di come funziona il cervello, come fa e cosa fa. Ma il ‘come’ è diverso dal ‘cosa’”. Quindi ciò che i computer stanno facendo “non ha niente a che fare con l’intelligenza”. Di qui un interrogativo: “Gli esseri umani saranno mai in grado di costruire qualcosa dotato di intelligenza? Qualcosa capace di saggezza?” In realtà, secondo Consolmagno, questo “succede ogni giorno. I bambini, grammo per grammo, sono più potenti di un qualsiasi computer”. Il vero problema è che “la nostra intelligenza umana non è mai stata davvero capace di inventare un nuovo peccato”. “L’avarizia, l’invidia, la gola, la lussuria e tutto il resto tenteranno qualsiasi entità dotata di libero arbitrio. E qualsiasi entità dotata di intelletto e consapevolezza di sé si interrogherà sempre sulle ‘grandi domande’, e sarà tentata dal richiamo di qualche sapere segreto, o dalla disperata ricerca di qualche certezza”. Ma in questo orizzonte, sottolinea il gesuita, “anche le virtù della fede, della speranza e della carità saranno sempre possibili”. E allora, “anche se un giorno le macchine dovessero raggiungere una certa autocoscienza, ci sarebbe davvero motivo di avere paura? Se davvero sviluppassero i tratti dell’anima umana, intelligenza e libero arbitrio, questo non le renderebbe né migliori né peggiori di qualsiasi altra anima, umana o meno. Sarebbero capaci di peccare, e di amare. Perché – conclude Consolmagno – temere il peggio?”

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