“Durante il servizio di docenti di religione cattolica è importante seminare, senza sapere come, quando e se il seme darà frutto, ma si fa sempre più necessaria anche una prospettiva in cui ricollocare l’uomo nella prospettiva della sua irriducibile umanità. Dimensione da cui l’odierna concezione della vita si va progressivamente allontanando”. Lo ha detto ieri pomeriggio don Paolo Asolan, preside del Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense, intervenuto alla sessione di apertura del Convegno nazionale degli uffici per la pastorale della scuola e dell’Irc della Cei, in corso fino a domani a Salerno. Di qui, secondo il relatore, “l’esigenza di un metodo, di uno sguardo, che continui a tenere presente che Gesù è risorto e si manifesta nel qui e ora di coloro che abbiamo davanti”. “Viviamo un’epoca intrisa di relativismo e contraddistinta dalla frammentazione, dal disimpegno, dall’indifferenza e dalla fine dei grandi riferimenti culturali”, ha proseguito il sacerdote osservando che “alla domanda chi sono io? che un tempo l’uomo si poneva, ora la domanda sta diventando pericolosamente a cosa serve l’uomo? E non si tratta di un fenomeno passeggero, ma di una singolarità temporale definita dall’ambiguità e, ormai, da fenomeni prima sconosciuti come l’intelligenza artificiale. La scuola rappresenta ancora una comunità organica in cui porre al centro e presidiare la risorsa di un nuovo umanesimo, fondato sul fatto che, attraverso Gesù, Dio ci ha detto e dato tutto e che solo lo Spirito inviato dal Padre può cambiare la storia e le vicende umane”.
Di qui l’importanza del ruolo degli insegnanti di religione, dal momento che la fede cristiana “centra ogni aspetto dell’esistenza, proprio nella dimensione umana quale antidoto efficace contro la strumentalità moderna”. Secondo don Asolan, “l’ora di religione non può essere quindi un momento in cui parlare di altro. Bisogna, piuttosto, orientare il sapere verso la Verità, verso qualcosa per cui vale la pena spendere la vita, lottando affinché la cultura rimanga a misura dell’essere e non si disperda nell’erudizione fine a sé stessa o nella pura e semplice convenienza produttiva”.