“La fede può avere bisogno di elaborazione, ha la necessità di trovare le parole giuste per dirsi ma non può invaghirsi delle parole. Neanche l’imperizia però salva la fede. La ‘virtus’ della fede va coniugata con la capacità di comprendere, senza pretendere di comprendere tutto e senza dimenticare che il ruolo vero della fede è la ‘confessio’, come conseguenza esistenziale e salvifica dell’annuncio della Chiesa”. Così Chiara Curzel, docente ordinario dell’Istituto superiore di Scienze religiose “Romano Guardini” di Trento, durante il convegno “Le molte vie di Nicea. Nicea tra Oriente e Occidente”, in corso a Bari all’Istituto di Teologia ecumenico-patristica “S. Nicola”. Nel suo intervento, la docente ha ripercorso i lavori di un altro convegno, dedicato sempre al Concilio di Nicea, promosso dalla Facoltà teologica del Triveneto lo scorso ottobre. “Per una riflessione più ampia sull’uso del linguaggio – continua –, quando si parla di Dio, ci accorgiamo che c’è richiesto l’impegno di ciò che intendevano i padri e di tener conto delle ambiguità, delle possibilità e dei diversi generi di comunicazione, che tante conseguenze hanno avuto sui decenni successivi”. “Nel secondo ambito – osserva –, come gruppo di patrologi della Facoltà teologica del Triveneto, abbiamo scelto di occuparci della ricaduta di Nicea nelle Chiese del Nord-Est d’Italia, una regione di passaggio: da sempre, per quanto riguarda la sua cristianizzazione, si suppone ci sia stato un collegamento con Alessandria più che con Roma”. Sugli uomini protagonisti, la docente compie una carrellata di teologi che nei secoli hanno studiato il Concilio del 325. “In particolare – commenta – i contributi dei vescovi fanno emergere l’importanza della predicazione del vescovo che nel proprio territorio porta la sua gente alla comprensione e alla confessione, al fine di restare fedeli agli insegnamenti della Chiesa. La predicazione è il luogo più adatto per capire come la terminologia tecnica conciliare sia adatta alla comprensione, all’interno di tradizioni teologiche differenti”. In conclusione, afferma: “Il rimando al presente è davvero immediato e importante. Se parliamo di uomini e donne, anche noi, che ne siamo stati protagonisti, siamo coinvolti nella catena di trasmissione con il nostro lavoro”.