Piangere su noi stessi “non significa piangerci addosso, come spesso siamo tentati di fare”. Lo ha precisato il Papa, nell’omelia della Messa crismale del Giovedì Santo, presieduta nella basilica di San Pietro.” Ciò avviene – ha spiegato Francesco – quando siamo delusi o preoccupati per le nostre attese andate a vuoto, per la mancanza di comprensione da parte degli altri, magari dei confratelli e dei superiori. Oppure quando, per uno strano e insano piacere dell’animo, amiamo rimestare nei torti ricevuti per autocommiserarci, pensando di non aver ricevuto ciò che meritavamo e immaginando che il futuro non potrà che riservarci continue sorprese negative. Questa – insegna San Paolo – è la tristezza secondo il mondo, opposta a quella secondo Dio”. Piangere su noi stessi, invece, “è pentirci seriamente di aver rattristato Dio col peccato; è riconoscere di essere sempre in debito e mai in credito; è ammettere di aver smarrito la via della santità, non avendo tenuto fede all’amore di colui che ha dato la vita per me. È guardarmi dentro e dolermi della mia ingratitudine e della mia incostanza; è meditare con tristezza le mie doppiezze e falsità; è scendere nei meandri della mia ipocrisia”. “L’ipocrisia clericale, quella ipocrisia nella quale scivoliamo tanto: state attenti all’ipocrisia clericale”, ha aggiunto a braccio. “Per poi, da lì – ha proseguito – rialzare lo sguardo al Crocifisso e lasciarmi commuovere dal suo amore che sempre perdona e risolleva, che non lascia mai deluse le attese di chi confida in Lui. Così le lacrime continuano a scendere e purificano il cuore”.