Messa crismale: mons. Morrone (Reggio Calabria-Bova), “portare il buon profumo di Cristo nella quotidianità. Di fronte a incapacità di fare rete” imparare “a cooperare”

(Foto diocesi di Reggio Calabria-Bova)

“Nell’unzione dello Spirito riversato nei nostri cuori (cfr. Rm 5,5) siamo stati abilitati dunque a compiere la medesima missione salvifica di Cristo redentore, fino agli estremi confini del mondo. Dobbiamo avere più consapevolezza di tanta grazia: il Signore si fida di noi”. Lo ha detto mons. Fortunato Morrone, arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, nella Messa del Crisma, celebrata nella basilica cattedrale di Reggio Calabria.

(Foto diocesi di Reggio Calabria-Bova)

“Il profumo del Crisma per noi ministri consacrati rimanda – ha osservato il presule – alla particolare missione che la Chiesa ci ha consegnato per mezzo della predicazione della Parola e l’amministrazione dei sacramenti: cioè la santificazione dei fratelli e delle sorelle credenti perché portino il buon profumo di Cristo nel quotidiano vivere degli uomini, impastato di gioia e di sofferenza, di speranza e di delusioni, di cammini e di sbandamenti, di momenti di pace e serenità e di orribili tempi di guerra e orrori, di miseria e di ostentata ricchezza e lusso, di mancanza di lavoro e di colpevole incapacità di noi calabresi a fare rete, a cooperare mettendo in campo, con generosa dedizione, le energie migliori per dare fin d’ora fiducia ai nostri giovani e speranza alla nostra gente, alle nostre famiglie, ai tanti migranti nel corpo e nello spirito che cercano casa e affetti, dignità”.
Facendo riferimento al gesto della lavanda dei piedi, che sarà rivissuto stasera nelle Messe in Coena Domini, mons. Morrone ha evidenziato: “Gesù non ci chiede una comprensione intellettuale, ma una conoscenza che a che fare con la sapienza, con il sapére, che coinvolge l’intera esistenza diventando essa stessa simbolo reale dell’atto compiuto. Fai questo se vuoi rendermi presenza viva, se vuoi continuare ad essere ‘mio’ discepolo. L’atto sommamente libero di Gesù, il gesto regale del Signore ci affranca dai fantasmi di un Dio che vuole essere servito, che sacrifica il Suo Unigenito, mentre Gesù si è donato e che riproduciamo a volte nel nostro ministero: più che servire rischiamo di lasciarci servire o peggio di asservire. Il potere regale di Gesù posto nelle nostre mani potrebbe così pervertire la Croce del Signore. Si tratta del peccato che sta all’origine di ogni male che Gesù ha smascherato nell’ora della sua morte gloriosa, l’ora del giudizio su questo mondo mondano che ci portiamo dentro”.
Gesù, ha proseguito, “è venuto per liberarci dalla schiavitù del peccato: cioè pensare la nostra legittima identità come assoluta, autoreferenziale, autocentrata. Da qui scaturiscono tutti i conflitti che portano all’esclusione dell’altro/i, alla competizione, alla meritocrazia, alla logica del tutti contro tutti, alla cosiddetta autonomia differenziata… anche negli affetti più cari. Ma noi stiamo imparando da Gesù, Vita donata per amore, e lo sappiamo anche dalla nostra stessa esperienza, che la vita è fondata sull’accoglienza: non saremmo oggi qui se qualcuno non ci avesse accolto, fatto spazio in questa vita”. E Gesù, ha concluso l’arcivescovo, ci libera dall’identità esclusiva (non sai chi sono io…) immettendo nel mondo il profumo vitale della fraternità, quasi un riflesso nel tempo della sua ‘esperienza’ relazionale col Padre nel reciproco e incondizionato dono dello Spirito d’Amore.

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