“In questa solennità vorrei mettere in luce questo aspetto: Gesù è solo. Anche gli amici, non solo i nemici, anche gli amici vengono meno. Pietro, che voleva bene a Gesù, lo rinnega tre volte. Anche noi sperimentiamo la solitudine. Qualche volta l’abbiamo voluta noi. I gesti che hanno rotto la fiducia degli altri nei nostri confronti hanno provocato la nostra solitudine. Gesù ha voluto sperimentare quella solitudine che tanti uomini e donne vivono o hanno vissuto nella storia”. Così ieri il patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, nell’omelia della messa nella Domenica delle Palme. “Cristo non ha solo subito una ingiustizia: ci ha salvato perché ha accolto quella ingiustizia, per il nostro bene, nel perdono. Il perdono è decisivo. Pensiamo a tutte le volte che non perdoniamo e non chiediamo perdono agli altri. Redimersi (cioè rinnovare la nostra coscienza, il nostro cuore, la nostra storia) è possibile con il perdono – ha aggiunto -. E tutte le volte che neghiamo il perdono tronchiamo la possibilità di cambiare. Chi non perdona ultimamente fa male a se stesso. Quando eravamo bambini i nostri genitori ci sono venuto incontro con il loro perdono. Col perdono si dà la possibilità di cambiare. Cristo ha voluto rispettare la nostra libertà e ci offre il perdono che salva: Gesù vince soccombendo nella Passione e Morte e trionfando nella Risurrezione”.
Alla vigilia, il Patriarca Moraglia ha presieduto la messa prefestiva della Domenica delle Palme presso la Casa di reclusione femminile della Giudecca. Alla celebrazione, assieme alla direttrice Mariagrazia Bregoli, agli educatori, al personale e alla polizia penitenziaria hanno preso parte anche i religiosi e i volontari del Patriarcato di Venezia insieme al cappellano don Antonio Biancotto, che ha concelebrato alla messa. Un pensiero il Patriarca lo ha rivolto alla prossima visita del Santo Padre del 28 aprile: “Siamo nell’imminenza del Viaggio pastorale del Papa a Venezia che inizierà la sua visita alla nostra Chiesa proprio qui. Il Papa desidera salutarvi ed incontrarvi. È un bel gesto, un gesto di incoraggiamento che riconosce la dignità di tutti e indica la speranza che è di fronte a ciascuna di voi e alle vostre famiglie e ai contesti in cui, adempiuto il momento rieducativo della pena, potrete incontrare. La speranza trasforma e ci rende migliori già adesso in un futuro che ancora non è nostro, ma che voi potete costruire giorno dopo giorno”.