“Oggi assistiamo a correnti culturali che sostengono uno scollamento, una sconnessione tra il corpo sessuato e il genere. Il genere, che potremmo definire come tutte le differenze tra maschi e femmine che non si esprimono sul piano genetico e biologico,
ma su quello emotivo, relazionale, psicologico, sociale, in questa prospettiva è esclusivamente un prodotto culturale”. Lo ha detto Elena Canzi, docente di Psicologia sociale e della famiglia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che oggi, 2 marzo, ha aperto la seconda giornata del convegno “Giovani e sessualità. Sfide, criteri e percorsi educativi” organizzato dall’Università Pontificia Salesiana (Ups) di Roma. Parlando de “Il senso della differenza sessuale” ha spiegato che per le moderne correnti di pensiero il genere “non sarebbe legato al sesso con cui nasciamo, bensi è esclusivamente determinato dagli orientamenti educativi e dai contesti sociali culturali in cui ci troviamo a vivere. Intuiamo che, in questa ottica, il corpo sessuato non ha valenza simbolica, è un corpo per così dire “de-simbolizzato”, sconnesso dalle dimensioni più psicologiche, emotive e relazionali dell’umano. E per parte sua il genere viene inteso come scisso dal corpo, “de-corporizzato”, e dunque non più vincolato alla dicotomia del maschile/femminile. Da qui – ha aggiunto – deriva l’idea dell’uomo fluido che si svincola dal binarismo del corpo sessuato e si muove tra i generi senza abbracciare uno in modo univoco”. Per la psicologa “molti dei disagi contemporanei possono essere ricondotti alla negazione, all’abbandono e alla dissociazione del corpo, non solo il transgenderismo ma anche l’autolesionismo tra i giovani e i disturbi alimentari. Il corpo diventa un nemico da combattere e da trasformare. Lavoriamo sul radicamento del corpo che anche se può essere molto doloroso perché ci mette a contatto con il limite, ci può restituire una grande esperienza di accettazione di noi stessi”.