“Viviamo un lunghissimo Venerdì Santo, quando si fece e si fa buio su tutta la terra e le tenebre cancellano la vita e ogni luce, a volte sembra anche la speranza e le stesse coscienze”. Lo ha detto il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, introducendo i lavori del Consiglio episcopale permanente, in corso a Roma fino al 20 marzo. Per Zuppi, “le parole del Santo Padre sulla pace sono tutt’altro che ingenuità. È sofferta e drammatica condivisione di un dolore che non potremo mai misurare”. La Chiesa, infatti, “è sempre Maria sotto la croce dei suoi figli: non può abituarsi al buio e crede alla luce anche quando ci sono solo le tenebre. L’empatia e la pietà femminili prevalgono su tutto, su ogni valutazione pur indispensabile relativa ad aggressori e aggrediti, a ragioni e torti. La vita viene prima di tutto. La Chiesa è madre e vive la guerra come una madre per la quale il valore della vita è superiore a ragionamenti o schieramenti lontani da questo”. Poi la citazione di San Giovanni XXIII, che un mese prima dell’inizio del Concilio, diceva: “Le madri e i padri di famiglia detestano la guerra. La Chiesa, madre di tutti indistintamente, solleverà una volta ancora la conclamazione che sale dal fondo dei secoli e da Betlemme, e di là sul Calvario, per effondersi in supplichevole precetto di pace: pace che previene i conflitti delle armi, pace che nel cuore di ciascun uomo deve avere sue radici e sua garanzia”. Quelle della pace, la tesi del presidente della Cei, “sono le sole ragioni che possono portare alla composizione dei conflitti, a risolverne le cause, facendo trionfare il diritto e il senso di responsabilità sovranazionale”. “La storia esige di trovare un quadro nuovo, un paradigma differente, coinvolgendo la comunità internazionale per trovare insieme alle parti in causa una pace giusta e sicura”, la proposta del cardinale: “Proprio su questo versante gli Stati e i popoli europei, le stesse istituzioni dell’Unione europea, devono riscoprire la loro vocazione originaria, improntando le relazioni internazionali alla cooperazione attraverso – come affermava Robert Schuman nella Dichiarazione del 9 maggio 1950 – ‘realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto’”.