“Nel Paese c’è una pericolosa deriva verso la guerra civile”: lo afferma monsignor Max Leroy Mésidor, arcivescovo di Port-au-Prince e presidente della Conferenza episcopale haitiana in una dichiarazione diffusa ieri dalla stampa locale, prima che arrivasse la notizia delle dimissioni del primo ministro Ariel Henry, sollecitato a lasciare dalla comunità internazionale. Il Paese è allo sbando a causa della violenza delle gang, che controllano gran parte della capitale, gli aeroporti e le frontiere terrestri. I capi delle gang avevano chiesto ad Henry, che di fatto non è riuscito a rientrare ad Haiti ed è ancora a Portorico, di lasciare il potere, che detiene dal 2021, anno in cui è stato assassinato il presidente Jovenel Moise. Una riunione d’emergenza della comunità dei Caraibi, Caricom, ha deciso un piano per stabilire ad Haiti una nuova autorità transitoria tramite la costituzione di un consiglio presidenziale con 7 membri votanti e due seggi senza diritto di voto (uno per la società civile e uno per la Chiesa; l’intervento della missione multinazionale guidata dal Kenya; un rafforzamento della polizia, presupposto per la realizzazione delle elezioni generali, che non si tengono dal 2016. Nella nota mons. Mésidor rimarca che “le forze di polizia haitiane sono impotenti di fronte a gang ben armate che sono diventate un esercito organizzato” ed anche la Chiesa è diventata un target. Sono infatti stati tanti i sacerdoti e le suore rapite in questi ultimi anni. Le ultime ad essere rilasciate sono state tre suore della Congregazione di San Giuseppe di Cluny e 4 dei sei religiosi dei Fratelli del Sacro Cuore rapiti lo scorso 23 febbraio. “Ci sono rapimenti ovunque…Ricchi o poveri, intellettuali o analfabeti, chiunque può essere rapito. E’ una dittatura, un flagello da combattere”. Anche gli stessi vescovi haitiani rischiano la vita, in particolare nelle zone controllate dalle gang a Port-au-Prince. Monsignor Pierre André Dumas, vescovo di Anse-à-Veau Miragoane, lo scorso 18 febbraio è rimasto gravemente ferito in una esplosione ed è ancora ricoverato in Florida. “Cerchiamo di lavorare e di testimoniare insieme – prosegue monsignor Mésidor – ma non è facile. Dobbiamo portare la nostra croce e seguire Cristo, soprattutto in questo tempo di Quaresima”. “Io stesso – confida – non ho potuto visitare i due terzi della mia diocesi perché le strade sono bloccate”. Nonostante ciò, conclude, “il nostro popolo vuole vivere”.